La flessibilità può essere sostenibile?

Le Acli hanno organizzato per giovedì un convegno dove interverranno anche i segretari di Cgil, Cisl e Uil

Si svolge giovedì sera alle 21 un incontro pubblico presso la sede dell’Enaip di via Uberti 44 dal tema "lavoratori di fronte a una nuova sfida: gestire la flessibilità per renderla sostenibile". Relatori della serata saranno: UMBERTO COLOMBO della Segreteria Provinciale CGIL, LUIGI RESTELLI Segretario CISL Varese, MARCO MOLTENI Segretario UIL Varese. Nel corso dell’incontro verranno anche illustrati e commentati i dati di una recente indagine sul rapporto tra il lavoro e i giovani, la famiglia, i disoccupati adulti. L’invito è esteso a tutti.

Il recupero della centralità dei temi del lavoro nelle ACLI, per il compito formativo sociale e politico al quale sono chiamate fin dalle loro origini, è stato condiviso al congresso nazionale di Bruxelles, lanciato al convegno di Vallombrosa del 2000, sviluppato dalla commissione nazionale sul lavoro che ha elaborato un percorso formativo e di ricerca su uno degli argomenti più delicati e discussi del lavoro : la flessibilità.

L’OBIETTIVO È DI INDIVIDUARE SE E COME SIA SOSTENIBILE LA FLESSIBILITA’ I sostenitori della flessibilità sono miriadi : industriali, politici, economisti e anche alcuni sindacalisti. Essi ritengono che la flessibilità favorisce l’aumento della occupazione e che comunque le imprese, piccole o grandi che siano, hanno necessità per la loro sopravvivenza di dimensionare il lavoro come occupazione e come costo direttamente ai flussi e alle esigenze del mercato. Specie per quanto concerne la prima affermazione occorre valutare quale tipo e qualità di occupazione sviluppa una flessibilità intesa in quel modo e quale figura di lavoratore modella come persona, come cittadino e come professionista. E’ inoltre non secondario, anche se non esplicitamente ammesso, che la richiesta continua e insistente di sempre maggiore flessibilità, indipendentemente dalle molteplici forme di flessibilità già esistenti, tende ad isolare tra loro i lavoratori, ad ostacolare e impedire la possibilità di aggregarsi , associarsi sui posti di lavoro. Non è facile muoversi su un argomento così sottoposto a pressioni e ad affermazioni perentorie non suffragate da dimostrazioni attendibili, come ad esempio quella che mette in relazione la libertà di licenziare con l’aumento della occupazione. Nonostante tutto ciò, anzi proprio perché per tutti questi motivi la flessibilità diventa un tema centrale, di svolta, denso si conseguenze per la vita dei lavoratori, le ACLI intendono promuovere la ricerca e la sperimentazione di forme di flessibilità sostenibile, partendo da alcuni presupposti quali: riconoscere che la flessibilità fa parte del fare impresa sia nell’ottica del datore di lavoro – sia esso pubblico, privato o del privato sociale – sia in quella del lavoratore; fare una seria valutazione di tutte le forme già esistenti e praticate di flessibilità, sia quella in ingresso che quella in uscita (oggi il 74% degli occupati nel settore manifatturiero lavorano in imprese al di sotto dei 15 dipendenti, per i quali, come è noto, non esistono vincoli particolari che vietano il licenziamento individuale), valutarne gli effetti sull’impresa e sui lavoratori , prima di inventarne o promuoverne delle nuove Soprattutto è fondamentale non perdere il punto di riferimento sul quale misurare la validità e bontà di ogni proposta: la priorità della persona, del diritto a vivere una vita dignitosa, diritto che include come componente essenziale il lavoro. Per chi si ispira poi all’insegnamento della Chiesa, questa priorità trova conforto in illuminanti pagine, come la seguente del Concilio Vaticano II : “La giustizia e l’equità richiedono similmente che la mobilità, assolutamente necessaria in una economia in sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la vita dei singoli e delle loro famiglie si faccia incerta e precaria. Per quanto riguarda i lavoratori che, provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo sviluppo economico di un popolo o di una zona diversa dalla originaria, è da eliminare accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni di remunerazione o di lavoro:” (Gaudium ed spes, n. 66) 

Parole chiare che si commentano da sole e ci fanno capire con quanta facilità si può perdere la bussola dentro a questi temi, partendo anche da delle buoni intenzioni o presunte tali ! n Di tutto questo non può farsene carico l’impresa da sola, che ha i suoi obiettivi nella logica dell’impresa e può avere anche le sue difficoltà fino al punto della cessazione. Ma tanto meno può farsene carico, da solo, il lavoratore lasciato in balia delle logiche del mercato. Piaccia o non piaccia c’è un ruolo essenziale dello Stato, della Repubblica che ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, …. “ (art. 3 della Costituzione) n Per quanto compete la specificità dell’economia italiana è grossa la piaga del lavoro nero. C’è chi sostiene che per sanare o arginare questo fenomeno occorre praticare forme speciali dei deregolamentazione, di zone o periodi di tempo “franchi”, di sospensioni di diritti acquisiti dai lavoratori. In poche parole per “convertire” chi fa i propri interessi operando in modo illegale, occorre penalizzare chi fa il proprio dovere sia come imprenditore che si muove nella legalità sia come lavoratore che offre il proprio lavoro tutelato da contratti collettivi nazionali. La strada più trasparente e incisiva riteniamo sia invece quella di educare, praticare e far praticare, anche con l’esercizio della giustizia, la legalità. La depenalizzazione dei reati in questo campo non percorre questa strada ma quella della libera volpe nel libero pollaio.

A questo punto per verificare la possibilità o meno di una flessibilità sostenibile occorre individuare gli obiettivi da perseguire e da verificare lungo il percorso della difficile impresa. Ci aiuta in questo compito il Professor Luciano Gallino, il quale proprio a Vallombrosa ha tenuto una delle relazioni più stimolanti nel convegno del 2000 e che in una recente pubblicazione elenca gli obiettivi nel seguente modo : 1. fare in modo che perdere il posto di lavoro, e anzi perderlo ripetutamente, non sia vissuto come un trauma, ovvero come un passo verso l’esclusione definitiva dal mercato del lavoro ; 2. evitare che la precarietà dell’occupazione rechi con se la precarizzazione della vita privata ; n dare continuità e progressione a profili di carriera discontinui 3. ridare consistenza su nuove basi all’idea di “luogo di lavoro” come luogo di identità personale e integrazione sociale ; 4. attenuare le disuguaglianze di genere, età, zona geografica di fronte alla flessibilità.

Cinque obiettivi che possono essere ampliati e comunque rappresentano uno stimolante punto di avvio per una ricerca da realizzare anche sui territori locali. E’ con questi presupposti che le ACLI varesine hanno organizzato l’incontro pubblico che sii svolgerà giovedì 29 novembre, in sintonia con una iniziativa promossa dalle ACLI nazionali in occasione dell’evento di job lavoro, con l’intento di farne non un momento celebrativo ma un punto di partenza per nuove iniziative. Sta a noi, al nostro impegno non trasformarlo in una falsa partenza.

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Pubblicato il 27 Novembre 2001
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