Lo Zen e l’arte del giardino giapponese nel cuore di Varese

A Villa Paradeisos, in via Campigli, si trova uno dei pochi e autentici giardini giapponesi realizzati in Italia

L'università dell'Insubria in Giappone

Se si volge lo sguardo oltre il muro che costeggia il civico 34 di via Campigli, nel cuore di Varese, si puo’ solo intuire, ma non immaginare tanta bellezza. Eppure l’eden, il paradeisos, è lì oltre quella barriera, anonima e precludente come lo sono tutti i muri. Entrati nel parco della Villa, già Bassetti e ora appartenente alla famiglia Cremante, ci si trova di fronte ad un vero spettacolo della natura: pini marittimi, per nulla intimoriti dalle latitudini padane, che s’inerpicano maestosi sulla piccola collina, palme rigogliose e splendenti come se ne trovano solo nelle oasi sahariane, e ancora rododendri, azalee, aceri e imponenti conifere.

All’interno del parco, rivolto a oriente, c’è un angolo compatto e discreto, raccolto su se stesso, defilato rispetto alla magnificenza di ciò che lo circonda. È un giardino giapponese, uno dei pochi realizzati nel Nord Italia, studiato, progettato e realizzato con materiali originali da un docente universitario esperto in materia, chiamato appositamente dal paese del Sol Levante dai proprietari di Villa Paradeisos. Sei mesi di studio e due mesi per la realizzazione, con l’apporto di artigiani provenienti dal Giappone. Una vera particolarità, che ha richiamato in via Campigli anche la televisione nipponica.

Una filosofia diversa rispetto ai giardini all’italiana: alla volontà di potenza e alla rigida geometria, i giardini giapponesi contrappongono la naturalezza e il raccoglimento. Una diversa volontà di sapere, non appariscente, ma introspettiva e profonda. La sacralità del luogo è dettata dall’armonia di tutti i suoi componenti.

Nulla è fuori posto e il solo spostare uno degli elementi che lo compongono sarebbe come togliere una nota dallo spartito, significa cioè alterare un equilibrio. In un giardino giapponese regna l’ordine naturale degli elementi e se c’è un luogo dove l’entropia è un concetto altrettanto armonico è proprio quello. Un cancelletto in bambù, più limite ideale che reale per il visitatore, segna l’ingresso. Rocce cilindriche accompagnano lungo il cammino, ciottoli neri e levigati delimitano il passaggio, vasche in pietra solide ed eleganti ricordano l’importanza della purificazione del corpo per chi varca un luogo sacro. Un fiume, attraversato da ponti in pietra, scende placido e cadenzato fino ad un piccolo lago, costellato di ninfee. Aceri giapponesi avvolgono discreti il perimetro del giardino, quasi a volerlo proteggere. C’è posto anche per il mare. Un angolo zen, una panchina per meditare di fronte a un mare di tranquillità, fatto di ghiaia, le cui onde vengono provocate da un apposito rastrello e il cui orizzonte è precluso, come nell’infinito leopardiano, da un muro di bambù. Ogni elemento è raffinata immanenza della natura e al tempo stesso simbolo che rimanda ad una rappresentazione religiosa e trascendente.

Tutto questo è nel cuore di Varese.

 

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 06 Giugno 2002
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