«Solo e senza lavoro, l’ospedale e la stazione sono la mia casa»

La storia di Marco, che da anni sopravvive alla giornata e dorme sulle panchine dell'ospedale

 «Il disagio c’è, anche a Cittiglio», aveva avvisato il parroco del paese, don Giuseppe, intervistato dopo il ritrovamento del corpo senza vita di un clochard, il giorno di Pasqua, alla stazione. E qui, a Cittiglio, puntuale come un orologio svizzero, l’abbiamo trovato. Ha le fattezze di un uomo con i capelli biondi e gli occhi azzurri, sulla faccia i segni del tempo passato e vissuto per strada (nella foto, la zona della stazione). «Mi sveglio alle otto, faccio il conto dei soldi che ho in tasca e vado a fare la spesa». Una storia come tante, verrebbe da dire, se non fosse che il letto di Marco (il nome è di fantasia, non vuole pubblicità, nemmeno con le foto) è spesso una panchina all’ospedale di Cittiglio, o della stazione, o dove capita, insomma. E i soldi che "guadagna" non sono frutto del lavoro, ma delle elemosina, dei pochi euro rimediati nel viavai dei parenti che negli orari di visita vanno e vengono dall’ospedale, o dei pochi spiccioli che trova qua e là. 
Marco non è il solo che si appoggia all’ospedale per passare la notte, a volte per lavarsi, per ripararsi dal freddo, in una sorta di semi-clandestinità che per il momento nessuno ha il coraggio di interrompere.

Lo troviamo per strada, vicino alla stazione, dove domenica mattina è stato trovato il corpo di Gaetano, anch’egli senza un tetto dove stare, trovato morto tra gli squallidi e anonimi giardinetti di una stazione (nella foto, il punto esatto dove è stato ritrovato il corpo)
Forse per il freddo, forse per un infarto. Ma sempre solo era, Gaetano. Proprio come Marco. Sono le 19 e, con una camicia di jeans e un gilè sintetico sta mangiando da un piatto di plastica una porzione abbondante di lasagne, in piedi. «Ma le ho comprate, cosa credi», dice, con lo sguardo fisso, in una mano il piatto, nell’altra una forchetta. 
Marco, che oggi ha 36 anni, vive così da molti anni. «Da quando sono tornato dal militare – racconta – . Tutto è iniziato dopo i cinque anni fatti da alpino. Ero sergente maggiore, ero giovane, avevo poco più di vent’anni. Poi ho deciso di tornare a casa, di trovarmi un lavoro stabile, una ragazza». E qui cominciano i problemi, le dipendenze. «Lavoravo come operaio, ma ho iniziato con l’eroina, poi con l’alcol. Così se ne è andato il lavoro, la ragazza, e mi sono trovato in mezzo a una strada. Ho iniziato a dormire dove mi capitava. A volte a casa di amici. A volte in abitazioni abbandonate, attorno all’ospedale, come la zona della Breccia, a Gemonio, d’estate, quando fa caldo. Ma d’inverno la notte sto spesso qui a Cittiglio». Il cordone ombelicale con la famiglia Marco l’ha tagliato da tempo, e adesso vive alla giornata.
Tornare indietro? E’ vero che il comune ti ha offerto la possibilità di lavorare?
«E’ vero ma non ce l’ho fatta – spiega -. Ho provato a lavorare come operatore ecologico, dormivo in un hotel qui vicino. Ma è difficile tornare a galla dopo che fai questa vita. La gente quando ti vede cambia strada, non accettano il fatto che tu possa migliorare la tua condizione. Ho mollato, ho preferito la strada». Ma questo ti rende libero? «Sono libero se calcoli che non ho da preoccuparmi per pagare le bollette a fine mese, ma certamente sono schiavo della mia condizione. Faccio questa vita perchè sono obbligato a farlo. La gente mi rifiuta e io mi sento uno scarto della società».
La chiacchierata finisce alla stazione delle Nord, a Cittiglio, di fronte a un caffè corretto. Il sole se ne sta andando e Marco si prepara ad un’altra notte passata senza casa.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 14 Aprile 2004
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