Storie di ordinaria follia. A due passi da casa

Diversi i gravi episodi di sangue che negli ultimi anni hanno portato alla ribalta il dramma della tragedia famigliare finita nel sangue

Raptus o follia omicida, che emerge in cinque minuti e monta come un’onda. Oppure rancori covati sotto la coltre del tempo, che riaffiorano al momento sbagliato, nel posto sbagliato.
Sono diverse le storie di tragedie nate da dissidi famigliari e tradotte in fatti di sangue che hanno riguardato il Varesotto in questi anni. Storie di ordinaria follia, verrebbe da dire, che troppo spesso hanno un minimo comun denominatore costituito dal rapporto di parentela.
Senza andare troppo in là col tempo, ci vengono in mente alcuni episodi che, tra le ultime cronache hanno lasciato il segno.
Il fatto di sangue che più di tutti fa venire in mente la tragedia famigliare di casa nostra è il caso
Del Grande. La notte tra il 6  e il 7 gennaio 1998 Elia Del Grande, giovane di 23 anni di Cadrezzate, stermina a colpi di fucile la famiglia. Conosciuti e stimati i Del Grande erano una famiglia di fornai da più generazioni. Nella casa in via Matteotti al numero 27, vengono trovati i corpi privi di vita del padre Enea di 57 anni, della madre Alida di 53 e del fratello Maggiore Enrico di 27. Elia Del Grande tenta la fuga ai Caraibi, bloccato sul confine svizzero confessa di essere l’autore della strage.
Il 24 novembre di tre anni fa, una famiglia di Abbiate Guazzone sparisce dall’anagrafe. A distruggerla la violenza di un coltello manovrato dal capofamiglia, Pietro Volontè, 37 anni, operaio plastico, ora in carcere, che ha ucciso la moglie Patrizia Duregon, 35 anni, infermiera all’ospedale di Tradate e la figlia Giulia di nove anni, cercando poi di suicidarsi tagliandosi la gola. E’ stato condannato a sei anni e due mesi.

Ed è ancora vivo il ricordo di altri due gravi fatti di sangue che hanno visto la contesa famigliare al centro della causa scatenante di efferati omicidi.
Come quello avvenuto in una calda serata di giugno del 2002 a Lavena Ponte Tresa quando nello studio dell’avvocato Giuliano Cifarelli la vita di una giovane coppia di Cunardo, sposata da un anno e senza figli, si è spenta nel momento in cui, di fronte al legale, dovevano definire i dettagli della separazione. 
Stefano Martin, finanziere scelto di 32 anni, in servizio presso il comando provinciale di Varese, ha estratto la pistola e ha ucciso la giovane moglie, Rosella Ferrari, ventinovenne. Subito dopo l’uomo si uccide.

Una brutta mattina anche il 25 settembre dello stesso anno. Rosolino D’Aiello, 62 anni, palermitano e carabiniere in pensione, si reca in tribunale a Varese per incontrare di fronte al giudice la moglie Cosima Granata, di 49 anni. Tra i due era sorto un contrasto per gli assegni di mantenimento. Non era ancora mezzogiorno quando d’un tratto ha estratto la sua pistola e ha esploso quattro colpi contro la moglie, che è morta sul colpo. L’omicidio in tribunale ebbe grande risalto a livello nazionale: era possibile – si chiedevano i commentatori –  che gente armata entrasse in un’aula di giustizia senza contr? Il carabiniere è stato condannato a vent’anni di reclusione.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Aprile 2004
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