Gestione delle acque: «In dieci anni non è cambiato nulla»

Intervista con Giancarlo Galli, autore della legge che proponeva un nuovo corso nella "politica degli acquedotti". Il mancato decollo? «Una cultura politica arretrata»

Si dice "come bere un bicchier d’acqua". Eppure l’acqua sta diventando un bene sempre più prezioso e costoso. Ma come ha funzionato finora la disciplina che doveva riformare gli axcquedotti? Ce lo spiega Giancarlo Galli, deputato della provincia di Varese, ideatore dell’omonima legge. 
«La mia legge sul ciclo delle acque andava in un’ottica di miglioramento del servizio, con una migliore qualità e con una gestione aperta al mercato: ma tutto ciò ha fatto paura e dopo dieci anni non si è giunti da nessuna parte. Colpa anche di una mentalità politica vecchia di 20 anni». Giancarlo Galli è il sindaco di Mozzate, ma soprattutto è l’ideatore della nota "Legge Galli" approvata in Parlamento nel 1994, quella con cui si sarebbe dovuto sistemare il ciclo delle acque con un’ottica non solo comunale, ma sovracomunale con la nascita degli ambiti territorio ottimali (Ato), enti in cui sarebbero dovuti confluire gli acquedotti di diversi Comuni appartenenti a un territorio omogeneo. «L’Ato avrebbe poi indetto una gara d’appalto e affidato a un gestore competente il mantenimento del servizio – spiega Galli -. Inevitabile un innalzamento delle tariffe per i cittadini, in quanto vi sarebbe stato un miglioramento del servizio che oggi è praticamente obsoleto e inadeguato, soprattutto per l’ambiente».

Ma quali erano gli obiettivi della sua legge?
«La gestione ottimale del ciclo delle acque, sulla base di alcuni principi come risparmio, riuso, riciclo della risorsa. Il tutto con la ricerca di ambiti territoriali ottimali, che rispettassero l’idrogeografia e idrogeologia del territorio, ma che producessero anche una massa critica sufficiente per operare una gestione industriale della risorsa. Tutto ciò non più tramite una gestione comunale, ma con un ente nato da un insieme di Comuni che avrebbe affidato a un gestore competente il servizio. Questo sarebbe avvenuto tramite una regolare gara d’appalto, nella miniera più economica ed efficiente possibile».

Per attuare la legge, però, gli Ato sono nati su confini provinciali, non idrogeografici…
«Questo non interessa, è una vecchia polemica inutile. Importava, ma fino a un certo punto: se i diversi Ato, come possono essere Varese e Como che hanno bacini idrogeografici comuni, avessero collaborato tra loro. Il confine politico non è una cosa insuperabile».

Sempre per attuare la legge sono nate anche delle società, come ad esempio a Varese "Reteacqua", che avrebbero dovuto raccogliere gli acquedotti dei diversi comuni…
«Ma mi pare che a Varese il progetto si sia arenato. Reteacqua poi è un’altra cosa, nasce dalla fusione di società, non di comuni: una fusione di gestori. Ci fosse stato veramente l’Ato, mai decollato, sarebbe stata indetta una gara d’appalto che forse avrebbe affidato il servizio a Reteacqua. I comuni invece hanno continuato ad affidare il servizio a vecchi gestori. Anche la paura dell’arrivo di società straniere non è motivato. Anzichè far capire ai sindaci come si sarebbe dovuto fare, è stata costituita una semplice società di potere. Nulla di più, visto che poi si aveva paura delle gare d’appalto.
Si sarebbe trattato di libera concorrenza, com’è nell’ottica di un Europa allargata. Questo è un altro concetto che non si vuole capire».

A dieci anni dalla legge cosa è cambiato?
«In Lombardia nulla. La Legge si è incancrenita anche a causa di una mentalità politica vecchia di vent’anni che con l’arrivo del "leghismo" non si è per nulla evoluta, si è continuati a rimanere chiusi in se stessi. Questa legge è rimasta al palo anche perchè il dibattito politico è ancora fermo all’epoca di tangentopoli, vi è stata una gelata culturale e politica che non ha fatto crescere niente. 
La Regione ha approvato l’anno scorso una nuova legge che è una sostanziale virata rispetto a quella del ’94. La semplifico: invece di andare a cercare un gestore, hanno pensato di mettere insieme le proprietà degli acquedotti con un’unica grande società patrimoniale. E chi sarà il gestore? Naturalmente la proprietà delle reti idriche, ovvero la Società stessa. In questa maniera si evitano le gare d’appalto per l’affidamento della gestione, ma chi saranno i veri proprietari? I costruttori, coloro che interverranno sugli acquedotti. Secondo me è una curvatura radicale, che passa dall’ottica del gestore a quella del costruttore. Se capisco ancora qualcosa della Lombardia, questa cosa prima che abbia effetto, ora che i comuni trasferiscano tutte le proprietà, passeranno almeno altri dieci anni».

Cosa succederà secondo lei con la politica tariffaria? I costi dell’acqua aumenteranno?
«È normale ed è giusto che sia così se si vuole un servizio migliore, una più alta qualità. Si dovrà investire negli acquedotti, altrimenti si accetta un servizio squinternato come quello che è oggi. Ma i controlli sono costosissimi, e chi paga? Questo sarebbe accaduto sia con la mia legge che con quella nuova regionale: l’aumento delle tariffe sarà proporzionale alla qualità del servizio».

Si può dire che questa legge regionale sia un’evoluzione della sua?
«No, mentre la mia metteva al centro il gestore, questa mette al centro il proprietario costruttore, una società pratrimoniale che ha il diritto e dovere di gestire le proprie strutture. Questo comporterà, come ho detto, che passeranno almeno altri 10 anni senza che accada nulla. 
Prima o poi, però, andranno fatti i conti con la liberalizzazione e la privatizzazione: bisogna assumere il concetto che l’interesse pubblico coincida con il libero competere delle imprese. L’interesse pubblico non è che gestisce l’azienda, ad esempio "Reteacqua", ma, secondo l’Europa, coincide con il libero competere delle imprese, tramite un regolare confronto concorrenziale. 
Sono dieci anni che si sta facendo di tutto perchè questo concetto non venga applicato».

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Pubblicato il 06 Ottobre 2004
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