Io parlo italiano

Progetto pilota da Saronno. Intervista al "facilitatore" Daniela Gelso, incaricata dal Comune, che si occuperà di insegnare la nostra lingua ai bambini stranieri appena giunti in Italia

Un insegnante speciale, non di sostegno, ma di aiuto per tutti quei bambini stranieri che hanno bisogno di imparare l’italiano senza dimenticare la propria cultura. «È faticoso, è una sfida ogni giorno, ma è quello che serve per questi bambini e ragazzi». Daniela Gelso svolge la figura di "facilitatore" all’interno dei tre istituti comprensivi di Saronno. Le lezioni sono iniziate solo da qualche giorno, lei è un insegnante, ma fa parte di un progetto interamente finanziato dal Comune e che mira a fa imparare la lingua italiana ai bambini stranieri da poco giunti in Italia. Un progetto che è in atto da quattro anni (lei ne ha 28) e nel quale Daniela è stata coinvolta fin da subito. Questa mattina ha svolto la sua lezione di due ore alla scuola "Aldo moro" con un gruppo di sei bambini. Domani sarà alla Milite Ignoto da altri quattro bambini. 
«Quest’anno c’è stata una svolta molto importante per questo progetto perchè le scuole si sono messe in rete e io opero in tutti e tre gli istituti con venti ore la settimana – racconta Daniela, laureata il lettere moderne -. In questa maniera non lavoro solo in una scuola come gli scorsi anni, ma riesco a seguire i bambini di tre istituti. Fino a dicembre mi occuperò della prima alfabetizzazione, ovvero di quei bambini che sono appena arrivati in Italia».

Che situazione c’è a Saronno?
«Nelle scuole della città ci sono circa 200 alunni di origine straniera, ovvero il 4 per cento della popolazione scolastica. Un dato ben al di sopra della media nazionale, anche se inferiore ad altre città della provincia di Varese».

Da dove provengono i ragazzi di cui ti occupi?
«La situazione si è complicata rispetto agli anni passati. Quest’anno per esempio i gruppi sono molto eterogenei. Qui all’Aldo Moro ho sei bambini: un eritreo, due rumeni, un ucraino un polacco e un egiziano. È una torre di Babele. E nell’altra scuola è lo stesso: vi sono poche somiglianze linguistiche. Il problema è che purtroppo, mentre prima erano tutti ispanofoni o cinesi, adesso arrivano da tutti i paesi del mondo. Non è solo una questione di lingua, si affrontano anche culture molto diverse tra loro. Bisogna stare molto attenti e tenere sempre presente che ogni bambino è portatore di una cultura differente».

Quindi come ti rapporti con i bambini e la loro cultura?
«Cerco di mantenere il massimo rispetto nei loro confronti. Senza veicolare, nelle lezioni, nessun tipo di messaggio che possa andare contro la loro cultura, ma facendo capire loro le diversità non sono sbagliate. È molto importante aver creato una loro aula, che loro stessi hanno sistemato per sentirla propria: un benvenuto all’entrata scritto in tutte le lingue, una cartina del mondo intero e non solo dell’Italia, e tanti piccoli particolari. Un posto dove stiano bene e si sentano a casa». 

Segui dei testi particolari per insegnare l’italiano?
«Non esistono dei materiali, non si può adottare un testo definitivo. Si fanno tante fotocopie e si preparano anche degli esercizi apposta. Ma soprattutto quello che è importante è insegnare loro una lingua che gli serva a comunicare tutti i giorni, con i compagni, con le maestre. Non una lingua astratta. Non è come con i bambini italiani a cui si insegnano prima le regole. Le regole vengono estratte dopo che questi bambini hanno imparato il significato delle frasi». 

Per questi bambini però non sei solo un’insegnante, ma una sorta di mediatore tra il loro mondo e quello dove ora vivono…
«Sì, anche perchè hanno moltissima voglia di imparare, di essere come gli altri. La figura del "facilitare" o del "mediatore culturale" è importante perché loro vedono in te anche un punto di riferimento. Di tanti bambini ad esempio conosco anche la famiglia. Purtroppo questo contatto non è sistematico, non è previsto, per ora è solo occasionale».

Il tuo obiettivo qual è?
«Che quello che sto facendo ora possa diventare in futuro un ruolo riconosciuto e stabile: oggi c’è ancora un concetto sbagliato in molti insegnanti secondo cui far imparare l’italiano a un nostro bambino o a uno straniero sia la stessa cosa. Nulla di più sbagliato. In questa maniera si finisce con il bambino straniero fermo sul banco a scaldare solo la sedia».

Nella nuova riforma della scuola come viene considerato questo ruolo?
«Non esiste, non viene proprio considerato, non si prevedono insegnanti distaccati o lavoratori. L’istituzione di questa figura viene lasciata semplicemente alla sensibilità della amministrazioni scolastiche e comunali. Se diventasse un lavoro stabile, si riuscirebbe a stabilire un rapporto più continuativo ed efficace con i bambini».

C’è collaborazione da parte degli altri insegnanti?
«Con alcuni sì, con altri no. È anche una questione di mentalità e di volontà. Il problema è che spesso all’entusiasmo dei ragazzi non corrisponde lo stesso entusiasmo degli insegnanti. Ma le cose stanno cambiando, questo progetto che è nato anche in collaborazione con il provveditorato, dimostra che le qualcosa si è mosso».

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Pubblicato il 08 Ottobre 2004
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