Nasce l’Europa dei paradossi

A Roma i 25 stati membri firmano il Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa. Il professor Salvatore dell'Insubria spiega il significato della giornata

A quasi cinquant’anni di distanza dalla nascita della Comunità Europea, i Ministri degli Esteri degli Stati membri si riuniscono oggi nello stesso luogo a Roma per la firma del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa.
La solennità del cerimoniale e la risonanza mediatica dell’evento, che attestano la rilevanza storica di questa ulteriore e fondamentale tappa nel processo di costruzione europea, non devono distogliere l’attenzione ma anzi, al di là delle dichiarazioni di principio e di circostanza, rialimentare l’impegno degli Stati e dei cittadini dell’Unione nel superare una serie di contraddizioni che continuano a caratterizzare l’ordinamento comunitario.

In gioco non vi è tanto la ricerca di una maggiore integrazione fra gli Stati, quanto il rischio dell’innescarsi di un processo involutivo, che possa rimettere in discussione i risultati già raggiunti.
L’attribuzione alla Comunità di sempre più numerose competenze e l’adesione di nuovi Stati membri hanno da un lato moltiplicato la potenzialità di dissidi tra Comunità e Stati membri, per la mal sofferta supremazia di cui godono le politiche comunitarie rispetto agli interessi nazionali e, dall’altro, reso sempre più delicati gli equilibri fra gli Stati membri stessi nel contesto di una rinnovata architettura istituzionale.

Ma sono altre le sfide che l’Europa deve realisticamente affrontare.
L’Europa oggi marcia in controtendenza: si è assistito storicamente ad un percorso che ha visto Stati nazionali rinunciare gradualmente alla propria sovranità fino a rinunciare alla propria soggettività internazionale in un processo ascendente che ha portato gli Stati ad aggregarsi prima in Unioni e a dar vita successivamente a Federazioni (si pensi agli Stati del New England rispetto alla Federazione degli Stati Uniti, ai cantoni elvetici rispetto alla Svizzera nella sua configurazione politica attuale, ai principati tedeschi rispetto alla Repubblica Federale di Germania).

Oggi questo processo sembra essersi invertito: gli Stati federali si disgregano, vi sono sempre più frequenti rivendicazioni centrifughe di sovranità (è il caso, per limitarsi ad esempi riguardanti ordinamenti a noi vicini, della dissoluzione della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, della scissione cecoslovacca, della disgregazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Per non dire delle rivendicazioni autonomiste che si registrano all’interno degli ordinamenti nazionali (basti per tutti citare il caso del popolo còrso e del popolo basco).
L’Europa prosegue convinta nel processo bottom-up, ben sapendo di non avere il vento nelle vele.

Altro tema: allargamento o approfondimento
.
L’Europa dei 25 che si presenta oggi ha una fisionomia profondamente mutata da quella tenuta a battesimo nel 1957 dagli allora 6 Stati fondatori. Sono cambiate le regole del gioco, sono aumentati i soci del club.
Si sa che più Stati siedono intorno al tavolo più ardui diventano le possibilità di individuazione di ambiti di intesa comune. Ecco un altro paradosso: un’Europa più ampia non necessariamente diventa veicolo di una cooperazione più intensa fra gli Stati. La propensione ad ulteriori allargamenti, prima che si sia consolidato il rapporto tra gli Stati attualmente membri, rischia di celare una propensione contraria all’approfondimento dell’integrazione, al di là delle apparenze e delle prese di posizione formali.

E’ questo il contesto in cui i 25 firmano oggi a Roma il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa.
Si posa la prima pietra di una costruzione costituzionale che dovrà affrontare un percorso lungo ed insidioso, non solo perché il Trattato per entrare in vigore dovrà attendere ancora molti anni (non prima del 2009), ma soprattutto perché l’efficacia del trattato è subordinata alla ratifica e, in alcuni casi a referendum popolare.
Ancorché non auspicabile, essendo possibile (e potrebbe quasi dirsi probabile) che l’esito di alcuni di questi referendum dia esito negativo ed essendo altrettanto certo che il Trattato non potrà entrare in vigore se non otterrà il consenso di tutti gli Stati membri, vi è da chiedersi cosa potrà accadere qualora uno di questi Stati – ipotizziamo la Francia – faccia registrare, nell’ambito di una consultazione popolare, un segnale contrario al Trattato costituzionale.

Il rischio è tuttaltro che remoto. Ci troviamo al cospetto di un Trattato costituzionale concepito in laboratorio, da una sparuta delegazione di convenzionali in rappresentanza di 450 milioni di persone, designata senza alcun meccanismo di partecipazione popolare, che i cittadini europei faticano a percepire e ad apprezzare.
La predisposizione di un catalogo di diritti fondamentali quale è quello contenuto nel Trattato oggi alla firma, presuppone, al di là della retorica celebrativa, la coabitazione in un sistema che persegua l’unità nella tutela delle diversità.
Una casa di 25 stanze, in cui si condivida un patrimonio comune di valori ispirati a criteri di libertà e non discriminazione in un contesto ancora tutto da costruire.

 

Vincenzo Salvatore

Professore di Diritto dell’Unione Europea
Università degli Studi dell’Insubria
vincenzo.salvatore@uninsubria.it

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Ottobre 2004
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