Pochi soldi, pochi volontari e nessuna sede: la Polha lancia un grido d’allarme
La presidente della storica società sportiva per disabili varesina richiama l'attenzione sui problemi alla vigilia della nuova stagione
A ottobre parte la nuova stagione sportiva della Polha, gloriosa associazione sportiva per disabili, attiva da ventidue anni sul territorio varesino. E’ il momento di tirare le somme, di contare gli atleti e i volontari disponibili. Quest’anno, come spesso accade, i problemi sono molteplici: «Gli atleti sono tanti – dice la presidente Daniela Colonna Preti – circa un centinaio. Ad oggi abbiamo 30 volontari accreditati, ce ne mancano almeno 7, se possibile automuniti, per poter fornire un buon servizio a tutti i ragazzi, soprattutto agli atleti del tennis tavolo, agli utenti della palestra e ai giocatori di hockey su ghiaccio».
Quello della ricerca di nuovi volontari non è però l’unico problema. Manca infatti ancora una sede e i fondi sono pochi: «Sono 23 anni che ne aspettiamo una definitiva. Io sono in carica dal 1993 – prosegue la presidente Colonna Preti – ho fatto presente il problema in comune, ma non ho mai ottenuto una risposta definitiva. Caccianiga conosce il problema, ma sembra che le priorità siano altre. La sede legale da troppo tempo è casa mia. Il materiale dei ragazzi è da me, i mezzi di trasporto anche. Io non ho più una vita sociale, ma il problema non sono io: i ragazzi hanno il diritto di avere una sede dove potersi incontrare e socializzare. Altre province, e non parlo di regioni a statuto speciale, hanno donato pulmini e mezzi di trasporto. Noi dobbiamo fare i salti mortali per avere piccolissimi aiuti. Quest’anno gli introiti sono stati quasi nulli, i soldi arrivano solo se si organizzano eventi o se si fa sport a livello agonistico: una cosa che a me sembra assurda. Però offriamo comunque un servizio che senza di noi non ci sarebbe. Gli sponsor ci aiutano, è vero: abbiamo comprato il pulmino nuovo, quello vecchio si è rotto a Orvieto durante la trasferta ai campionati di atletica. Ma non bastano e le istituzioni sono sorde alle nostre richieste».
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