«Siamo in condizioni ideali, se solo l’amministrazione dell’ospedale ci facesse lavorare in pace»
Il professor Paolo Cherubino fa il punto della situazione sullo stato della facoltà di Medicina
Se stessimo alla guida alle Università italiane per l’anno accademico 2004-2005, compilata con dati raccolti e coordinati dal Censis, dovremmo guardarci bene dall’iscrivere i nostri figli alla Facoltà di medicina e chirurgia dell’ateneo dell’Insubria: la guida infatti la colloca al 34° posto di una classifica nazionale di 37. Ogni anno invece dobbiamo registrare l’assalto dei giovani che vogliono studiare medicina a Varese.
Ma è Paolo Cherubino, preside della Facoltà, la persona più indicata per parlare di una realtà fatta di docenti di primo piano, di studenti che frequentano con grande profitto, di una buona organizzazione e del richiamo di una tradizione medica secolare che anche al tempo nostro ha i suoi alfieri: tutti fattori che ancora prima dell’autonomia dell’ateneo, ottenuta nel 1998, avevano determinato l’affermazione dei nostri corsi di medicina, avviati nel 1972 sotto l’egida della storica Università di Pavia e oggi diventati chiaro riferimento scientifico e culturale per parecchie province del Nord e per la Svizzera.
Professor Cherubino, i parametri del Censis sono sufficienti per dare agli studenti una esatta informazione sullo spessore di una Facoltà? Che cosa è accaduto per relegare l’ateneo dell’Insubria in fondo alla classifica?
«Non conoscevo questa guida diffusa per il tramite di “Repubblica”. Faccio solo un accenno al criterio di valutazione usato per le Università: siamo collocati nei superlicei sulla base del numero degli iscritti ed è semplicemente ridicolo. Questo parametro per un ateneo di recente costituzione rappresenta una discriminante assolutamente non corretta. Per quanto riguarda la Facoltà di medicina e chirurgia siamo finiti in coda alla classifica assieme a Milano Bicocca – siamo dunque in buona compagnia – a Novara e alla Sapienza 2 di Roma. Un posto che ci è stato assegnato non sulla base di elementi di valutazione negativi, ma per il fatto che non siamo stati valutati».
Può offrire Lei elementi utili per una corretta valutazione?
«Per compilare le classifiche sono stati presi in considerazione i servizi, le borse, le strutture e il web. Essendo noi ateneo giovane, il dato dei servizi non può essere che basso, ma i sevizi li stiamo costruendo, con impegno e fatica ma lo facciamo. Con le borse siamo in una media accettabile ed è chiaro che i grandi atenei avendo maggiori risorse possono attribuire più borse. Anche per quanto riguarda le strutture siamo nella media nonostante la giovane età. Per quanto concerne il web noi non facciamo una grossa pubblicità alle nostre iniziative ma stiamo costruendo o rielaborando siti in continuazione. Alla giovane età dell’Università sono strettamente correlate le sue disponibilità finanziarie e tuttavia raggiungiamo risultati significativi.
A parere mio non è comunque su una base come questa che si possa stabilire che una Facoltà è valida o di pessima qualità».
Quali altri criteri dovrebbero essere presi in considerazione?
«Quelli che si rifanno al contatto diretto con la realtà da valutare. A noi è sempre importato il giudizio del Nucleo di valutazione del ministero dell’Università e della ricerca scientifica che effettua due ispezioni all’anno, che a nessun livello ha formulato giudizi negativi sulla nostra qualità. Un solo rimprovero ci è stato fatto: per non aver ancora attuato l’ espansione della Facoltà a Como. Per quanto riguarda docenti, studenti, attrezzature siamo assolutamente in linea. Ma noi contiamo su un altro valore importantissimo: quello del corpo docente, nella stragrande maggioranza composto da personalità di livello internazionale.
Tutto questo fa una scuola, fa una struttura. Ma aggiungo che da noi gli studenti hanno la possibilità di avere un rapporto diretto con i docenti in altre parti difficilmente riscontrabile e inoltre essi hanno la certezza di contare su eccellenti scuole di specialità. In una delle mie,quella di ortopedia, al secondo anno di specialità gli studenti sono già idonei e compiono atti chirurgici. I miei del quinto anno sono già tutti prenotati in altre strutture. Se l’amministrazione dell’ospedale ci facesse lavorare in pace. Siamo nelle condizioni ideali per fornire cultura, pratica e opportunità».
Di questa vostra crescita e soprattutto della portata della vostra presenza non tutta la città si rende conto, anche perché Varese ha alle spalle decenni di freddezza inaccettabile nei confronti del suo ateneo.
E’ una freddezza che emanava dalle stesse istituzioni, spesso sorde e grigie davanti a nuove realtà. Oggi c’è maggiore attenzione, ma Varese in concreto che cosa dovrebbe fare per la sua Università ? Ed è comunque possibile che nel rapporto con la comunità da parte vostra ci siano stati e ci siano problemi di comunicazione?
«A renderci ancora per certi versi deboli è l’insufficiente appoggio delle istituzioni cittadine. Solamente l’Amministrazione provinciale di Massimo Ferrario ci ha aiutati molto, gli enti cittadini invece hanno mancato e mancano di progettualità per arrivare, parlo per la nostra Facoltà, a realizzare una sede stanziale di studenti.
Il pendolarismo non giova . L’Università con grossi sacrifici è impegnata per il primo collegio, ma non basta, il problema lo si risolve con le residenze e i servizi connessi. Sono quattromila i giovani che ogni giorno arrivano in una Varese che non ha ancora capito che l’ateneo può essere una sua ricchezza. La comunicazione? Può essere, ma è un fatto che siamo chiamati a confrontarci con la realtà politica che non ci aiuta di certo, con la realtà amministrativa della sanità regionale che spesso ci è contro tentando pure di far intendere come altezzosità e voglia di potere quella che è difesa da parte della mia Facoltà dell’interesse dei cittadini. Lo dico forte e con la coscienza tranquilla anche di preside: sono estraneo al pari di tutti i professori universitari ai giochi, alle lotte di potere che fanno invece amministratori, anche a livello regionale, a favore di loro partiti o movimenti. La carriera di un medico deve dipendere dalle sue capacità professionali.
A me interessano la qualità del servizio della salute e quindi voglio avere la certezza come cittadino di Varese di poter essere curato da medici preparati. E come si cura nel 2004 e non come si curava quarant’ anni fa.
Abbiamo nel nostro ospedale 18 primariati vacanti, la responsabilità è affidata a facenti funzioni: mi sembra doveroso chiedere di fare della scelte definitive e basate sulla competenza».
C’è un altro nodo sulla via della perfetta integrazione dell’ateneo nella realtà locale: il rapporto con l’Ospedale, istituzione alla quale i varesini sono molto legati, ma che da qualche tempo viene guardata con una certa preoccupazione perché sembra gestita da lontano.
«Istituendo il direttore generale c’era l’intenzione di vedere in lui una figura indipendente dai partiti politici. Oggi il direttore generale è l’uomo più soggetto ai partiti politici o ai movimenti».
All’ospedale di Circolo il cantiere del nuovo padiglione non sembra più la terra promessa, anzi. Numerosi medici, di estrazione ospedaliera e accademica, parlano di inadeguatezze progettuali della struttura e inoltre sono fortemente critici anche verso la gestione dell’esistente: tutti segnalano che mancano uomini e mezzi, che non ci sono tecnologie aggiornate in reparti chiave. Sembra di avvertire nei medici una notevole demotivazione , che non ci sia più l’entusiasmo di fare squadra.
«La nuova struttura non doveva essere realizzata qui, dove avremo solo un nuovo edificio, tra l’altro concepito senza valutare le esigenze di un ospedale di insegnamento. Per esempio nei reparti era previsto solo lo studio del primario, previsione fatta evidentemente da chi ignorava quante persone tra medici, paramedici, tecnici, ruotassero attorno a un solo degente. Ci sono stati aggiustamenti, vedremo. L’obiettivo di tutti deve essere il miglior servizio possibile alla salute del cittadino, servizio che non può prescindere da professionalità e collaborazione a tutti i livelli. Credo sia giusto un tavolo di confronto , ma il periodo elettorale è il meno indicato: cerchiamo e vogliamo certezze. Anche per quanto riguarda le difficoltà della gestione quotidiana sono pienamente d’accordo. Abbiamo tecnologie vecchie , purtroppo è vero, ma pesano anche intoppi piccoli in apparenza: nei giorni scorsi una ditta mi ha comunicato che non mi fornirà più uno strumento che le era stato ordinato anni fa: costava 1500 euro, non è stato ancora pagato , intanto ne abbiamo avuti altri in prestito gratuito e più volte dal momento che sono strumenti soggetti a logorio: capisco la reazione della ditta. Ma siamo oggetto di altri riguardi da parte dei vertici dell’azienda».
Che cosa è successo?
«Il direttore generale ieri mi ha scritto dicendomi che si congratulava con me per uno stage di ortopedia destinato ai medici di medicina generale, ma nel contempo non poteva fare a meno di osservare che l’utilizzo del logo dell’ospedale da parte mia doveva essere richiesto e non semplicemente comunicato».
Gli ha già risposto?
«Certamente. Ho fatto notare che l’Azienda è ospedaliero- universitaria e quindi era sorprendente la richiesta di autorizzazione all’utilizzo del logo dell’ Ospedale accanto a quello dell0’Università, tanto più che in passato ero stato rimproverato di non averlo utilizzato. L’incredibile intervento del direttore avviene dopo 27 convegni e corsi nazionali che abbiamo organizzato nel 2003 e dopo i 23 organizzati sino a oggi nel 2004. Nella mia replica scritta ho preso atto della stizza del direttore, ma gli ho anche chiesto di non turbarsi più : finché sarà in carica qui da noi non utilizzerò più il logo dell’ospedale e naturalmente lo cancellerò dai programmi degli ultimi 5 eventi culturali previsto entro la fine dell’anno».
Preside Cherubino, possiamo ritornare alle scuole di specialità? Risulta che avete sospeso il corso del primo anno di gastroenterologia e urologia: perché?
«Abbiamo 34 scuole, le due citate hanno deciso di non attivare appunto il primo anno in quanto le domande dei neolaureati sono percentualmente basse. Si tratta di situazioni contingenti e affrontate nell’ ottica di non investire uomini e risorse a ogni costo se non ci sono studenti, non si tratta di chiudere, per adesso, le due scuole. Siamo in sintonia con le direttive ministeriali sulle scuole di specialità che tra l’altro sono oggetto di riforme. E’ anche il momento di percorrere altre strade: per endocrinologia il professor Bartalena per attivare la specialità ha costituito un consorzio con la Facoltà di Brescia, io sto trattando con Torino per medicina dello sport».
Professore, non c’è “guida all’Università” che tenga : il passato e il presente testimoniano a favore della Facoltà. Quale speranza allora guardando al futuro?
«La speranza? Che l’ ospedale lo gestiscano i cittadini competenti. Come una volta».
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