Enrico Marcora, da Provex all’Africa

Il presidente del consorzio export di Univa diventa ex e si dedica a tempo pieno al volontariato

Enrico Marcora, dopo 15 anni di presidenza del consorzio per l’Esportazione dell’Unione industriali, passa la mano a chi lo seguirà. Destinazione: Africa.
Forse non andrà esattamente così, ma lo storico presidente di Provex, che è già andato in pensione dall’azienda di famiglia, fra qualche giorno potrà certamente dedicarsi all’attività per cui sta diventando sempre più noto: quella di volontario "eccellente" degli Amici Lombardi di Padre Claudio.

«Sono andato in pensione il 7 luglio scorso – precisa Marcora – E l’8 luglio già partivo per il Mozambico. Lasciare la presidenza di Provex è invece un fatto non ancora avvenuto: a prendere atto delle mie scelte e ratificare il cambio della presidenza sarà un’assemblea dell’associazione prevista per il 22 febbraio. Lascerò la presidenza di Provex dopo 15 anni, anche se ho dato la disponibilità a restare nel consiglio direttivo».

Può fare un consuntivo della sua attività in Provex?
«Posso dire che è stato importante avere inaugurato il punto Russia a Mosca. Ma i ricordi sono molti: ho dedicato 30 anni al consorzio, che innanzitutto mi ha aiutato ad esportare e ancora adesso lo fa e spero che sia stata una buona esperienza per tutte le aziende che si sono rivolte a noi. C’è qualcosa invece che ho sempre rimpianto: forse non sono riuscito a far passare con sufficiente forza il concetto che l’associazionismo va vissuto, e che se lo vivi un ritorno ce l’hai sempre: a volte chiudersi nella propria azienda a lavorare non basta per ottenere risultati. E verò però che la predisposizione alla vita associativa deriva dal carattere o dalle esperienze: per me è arrivato dai tempi dell’oratorio, cosa che – sembra strana a dirsi – ha reso più semplice per me entrare prima in U.B.I. ora Univa e poi in Provex»

Come è nata l’Associazione Amici di Padre Claudio?

«Conosco padre Claudio Crimi da 40 anni, da quando insieme ad altri amici avevamo costituito il primo gruppo di Mani Tese in provincia, a Busto Arsizio. Padre Claudio, vissuto a Genova ma comboniano a Venegono, l’abbiamo conosciuto insieme ad altri giovani missionari, quando abbiamo organizzato i primi campi di lavoro. Poi siamo rimasti in contatto e ci siamo scritti ogni tanto, finchè nel 1997 ho avuto l’idea. In occasione del mio 25esimo anniversario di nozze, considerato che saremmo stati sicuramente festeggiati, mi sono domandato: cosa faccio, spendo un sacco di soldi in sciocchezze e ricevo un tot di cornici e posaceneri d’argento di cui non me ne faccio nulla o immagino qualcosa di alternativo? Ho pensato allora di aprire un conto corrente a suo favore chiedendo a chi mi voleva fare regali per l’anniversario di mettere lì i soldi . E alla fine ho raccolto abbastanza da poter comperare una toyota 4X4».


Ma l’associazione c’è ancora dopo quasi dieci anni. Cos’è successo, poi?
«Il resto è successo per caso: ogni tanto qualche mio amico mi domandava «Ma il conto è sempre aperto? Se sì, per Natale avevo intenzione di mandarti qualcosa…» Rispondi di si a uno e poi all’altro, alla fine si è rifatto un gruzzolo, che abbiamo deciso di portare personalmente, per capire che tipo di esigenze avevano. Un viaggio che facciamo di solito tutti i mesi d’agosto, e che nell’ultimo viaggio è diventato un container, dove abbiamo messo un sacco di roba e ne abbiamo poi seguito il non facile percorso burocratico.
Fatto sta dunque che siamo diventati un’associazione e ho iniziato a reclamizzare le iniziative con tutte le persone con cui venivo in contatto, dai membri di Giunta Univa alla gente che incontravo in fiera. Trovando un seguito che andava al di là della fiducia alla persona: è arrivato di tutto, dai 10 euro anonimi ai 5000 provenienti da persone che non avrei mai immaginato avrebbero dato tanto. A tutti abbiamo dato documenti, riscontri, fotografie di quello che stavamo facendo: dal 1997 a oggi abbiamo raccolto 168mila euro di cui 60mila, solo nel 2005» 

Com’è la situazione ora?
«Sono di poco tempo fa una serie di disavventure che hanno complicato oggettivamente l’attività dell’associazione. Padre Claudio ha avuto problemi di salute, tant’è vero che si è deciso di gestirne la malattia in Italia: ora è a Roma. Antonio invece, uno dei volontari con cui siamo andati più volte in Mozambico, doveva trasferirsi nella missione di Boroma per un lungo periodo, in modo da affiancare padre Claudio. Antonio è un elettrauto, da poco in pensione, disposto a trasferirsi lì per un po’: tant’è vero che avevamo inviato un secondo container dove avevamo buttato dentro un’intera officina per permettere a lui di riparare le auto della missione e dell’orfanatrofio, ma anche per mettere in piedi una scuola di meccanica, che permettesse proprio ai ragazzi dell’orfanatrofio di imparare un mestiere. Purtroppo, proprio quando stava andando in Mozambico, è stato colpito da Ictus: è stato in ospedale a Johannesburg per 10 giorni e poi è tornato in italia, ma è tuttora ricoverato in una clinica di Pavia.
Così ora non ci sono alla missione né padre Claudio, che in Italia ci resterà anni, né Antonio, di cui non si può ancora prevedere quando migliorerà il suo stato di salute. Naturalmente però laggiù ci sono altri missionari: a Teete, la capitale, che è a 20 km di Boroma c’è la casa dei missionari Comboniani. E noi continuiamo a mantenere i contatti con suor Freitas delle suore di Cluny, perché ci siamo impegnati con padre Claudio in favore del loro orfanotrofio. Queste vicende fanno cambiare un po’ i nostri progetti, ma anche senza padre Claudio almeno una volta all’anno a Boroma spero di tornarci»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Febbraio 2006
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