Fare e disfare, è tutto un lavorare.

Negli anni 1990 si è cominciato a ipotizzare la privatizzazione dei servizi posseduti da enti pubblici. All’origine di questa moda di atteggiamento politico erano diverse considerazioni: bisogni di bilancio degli enti pubblici per i quali i corrispondenti ricavi sarebbero stati benvenuti; l’impressione che gli imprenditori privati sapessero o potessero gestire meglio le aziende; una ventata di liberismo economico che mal accettava situazioni monopolistiche e che aspirava a manifestazioni di libera concorrenza di mercato in tutte le attività economiche; l’insofferenza verso una rete di potere economico/politico che si era costituita da tempo e che aveva manifestato eccessi intollerabili in un paese civile e democratico.

Nella privatizzazione di imprese di proprietà pubblica emergono considerazioni di varia natura. Che lo Stato possedesse, tramite l’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) fabbriche di conserva di pomodori o autogrill, è un nonsenso che trova origine dalla necessità di risolvere la crisi finanziaria che comportava il rischio di fallimento di tre maggiori banche italiane negli anni trenta. Che poi l’IRI sia diventata una struttura di potere e il protagonista più emblematico del sistema economico italiano, in cui pubblico e privato (ma anche economia e politica) si sono fin troppo spesso intrecciati, è questione non irrilevante rispetto alla decisione del 1993 di privatizzarne le imprese. Eppure ho avuto modo di constatare esempi personali di eccellenza amministrativa e dirigenziale nelle aziende dell’IRI. Certo non è scopo dello Stato di gestire imprese, ma è certo compito dello Stato di risolvere nel modo più adatto crisi che possono travolgere l’economia di un paese. E a questo punto ci stiamo tuffando nelle acque della politica economica e della economia politica, dove si scontrano teorie spesso divergenti e dove le scelte fatte si dimostrano buone o cattive solo a distanza di tempo, per cui se la scelta era buona, il problema è risolto, ma se era cattiva, sono future lacrime e dolori.

E non basta che si faccia la scelta giusta; bisogna che gli scopi ne siano poi perseguiti con costanza, attenzione, determinazione e competenza. Mi viene da pensare alla scelta dell’adozione dell’euro (scelta che considero giusta), e al correlato aumento dei prezzi al consumo che abbiamo subito in Italia, mentre il Governo non ha predisposto e attuato azioni di controllo dei prezzi (mancata azione che considero colpevole).

Penso che bisogni per prima cosa considerare in termini generali gli elementi di un problema. Quando poi si sono chiariti gli scopi, le funzioni, i compiti, si valuteranno i casi concreti con adatti strumenti logici. Emblematico caso di contraddizione fra le finalità dichiarate e l’azione effettiva, fra i modi di comportamento adottati e i risultati ottenuti, è la vicenda di Mattei: nominato dal Governo liquidatore dell’AGIP (Agenzia Italiana Petroli), finì alla presidenza dell’enorme centro di attività economica e di potere ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) di cui AGIP fu poi parte significativa..

Nel 1962 si istituì l’ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) che acquisì la maggior parte dell’attività dei produttori privati, e nel 1992 l’ENEL diventa una società per azioni di cui il Ministero del Tesoro è unico azionista. Nel 1999 viene approvato il decreto legislativo di liberalizzazione del mercato elettrico in accordo con una direttiva europea, così da favorire il contenimento dei prezzi dell’energia in un regime di concorrenza. Sembra contraddittorio. Però da un provvedimento all’altro sono passati 37 anni e le cose sono cambiate. Le vicende non si sviluppano solo in base a coerenza logica, ma v’è un intreccio molto articolato di persone, interessi, giochi politici, ideali, mercanteggiamenti. E, quale ciliegina sulla torta, oggi in Italia l’energia elettrica è la più cara d’Europa. Problemi simili sorgono con le municipalizzate dei servizi che si è cercato di collocare in un contesto di regole di libera concorrenza e di privatizzazione.

Bisogna ora porre due questioni di principio. Primo: quali sono i compiti degli enti pubblici, comuni, province, regioni, nazione? Comprendono questi compiti la fornitura di servizi? Direi di sì, se parliamo di istruzione, sanità e di servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale (definizione introdotta dalla legge finanziaria 2002). Ma la cosa è dubbia se si tratta di servizi pubblici locali di rilevanza industriale. Secondo: concorrenza e rendite monopolistiche. Aprire dei settori economici alla concorrenza comporta vantaggi generali in termini di qualità dei prodotti e di prezzi. Ma se a un monopolio statale sostituiamo un monopolio privato, le cose non necessariamente migliorano. Penso ad esempio alle autostrade.

Tutti questi temi sono stati toccati a Varese in occasione del bando di gara per la vendita del 40% della proprietà di ASPEM. La cessione è stata bloccata, e si sono poi proposti e attuati altri indirizzi operativi. Sarà interessante vedere con quali risultati e attuali prospettive.

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Pubblicato il 18 Febbraio 2006
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