L’addio alle corse di Beppe Maffei: «Atletica italiana, così non va»

Il siepista di Arcisate, finalista mondiale nel 1999, dice basta. "Varese ha un grande potenziale; Danzi è il maestro da cui ripartire"

È stato l’ultimo grande esponente della lunga tradizione italiana sui 3.000 siepi, che negli anni ’80 e ’90 ha prodotto campioni del calibro di Panetta, Lambruschini e Carosi. Ora dice basta all’agonismo, dopo due stagioni tribolate in cui la Federazione non ha fatto nulla per dargli una mano. Giuseppe Maffei, 32 anni, varesino di Arcisate che vanta un record personale di 8’11"85, appende le scarpette al chiodo, rimane a disposizione della sua società (la "Libertas Cento Torri" di Pavia) ma lascia di fatto i piani alti del mondo della corsa. Non sensa lanciare un grido di allarme: «Se si continua così, l’atletica italiana muore».

Maffei, la sua decisione di ritiro sembra inappellabile. Davvero nessuno ha provato a farle cambiare idea, visti i suoi risultati ottenuti anche con la maglia azzurra?
«La decisione è stata comunicata al mio ex allenatore, Silvano Danzi, che ora è tecnico della nazionale per il settore mezzofondo. Silvano per me è una persona speciale, che conosce bene le mie vicissitudini e i miei problemi, ma dalla Federazione non si farà sentire nessuno perché riterranno il mio addio un "ricambio fisiologico". I vertici non si muovono, neppure sapendo che ero l’unico atleta in grado di dire qualcosa agli Europei. Però non è questo il momento per interessarsi agli atleti della mia generazione: la Fidal avrebbe dovuto muoversi un paio di anni fa. Invece si è preferito disperdere il patrimonio di una generazione di atleti: qualcuno è riuscito a rientrare nei gruppi militari, pur senza grandi orizzonti. Io ho un lavoro, una laurea: preferisco smettere».

Quella delle squadre "statali" legate a corpi militari e civili è l’unica strada da percorrere per chi oggi vuol fare atletica di alto livello?
«Credo proprio di sì: di soldi ce ne sono meno che in passato, le società sportive non riescono a mantenere atleti del giro della Nazionale. Fino a poco tempo fa alcune garanzie c’erano: raduni, trasferte, collegiali erano rimborsati. Ora qualsiasi cosa va pagata di tasca propria, a meno che non si faccia parte dei gruppi militari. Vale per l’atletica e per molti altri sport: a questo punto speriamo che almeno questi resistano, altrimenti sarà dura per tanti».

A cosa è dovuto questa scarsa attenzione federale? Non pensa che se gli ex atleti avessero più voce in capitolo la situazione potrebbe migliorare?
«Bisogna riconoscere che i fondi a disposizione della Fidal sono molto meno consistenti rispetto al passato, e questa non è una buona base di partenza. Sulla gestione dei soldi inoltre non mi permetto di dare alcun giudizio, visto che non ne conosco i meccanismi. Alcuni ex atleti occupano posti importanti, ma sono anche quelli che in passato sono stati coccolati per i loro risultati: non è facile dal loro punto di vista capire certe esigenze.
Detto questo però non voglio dare colpe eccessive ai nuovi dirigenti federali che qualche idea buona l’hanno avuta: l’ingaggio di Danzi ad esempio è positivo perché è un tecnico abile a scoprire e valorizzare i giovani. Ci vorrà tempo, coraggio e persone illumunate: la bacchetta magica non ce l’ha nessuno».

Al di là delle vicende più recenti, lei vanta una carriera di altissimo livello. Quali sono i suoi ricordi più belli?
«I primi, splendidi, risalgono ai tempi delle "spedizioni" scolastiche fatte con l’Itis di Varese alle Ginnasiadi di Parigi. Poi sul piano agonistico i due ricordi più belli sono stati la vittoria alle Universiadi e la finale disputata ai mondiali del 1999. Delle Olimpiadi invece il ricordo è a due facce: sul piano dell’atmosfera partecipare ai Giochi è una cosa fantastica perché si ha la possibilità di incontrare, conoscere, frequentare un sacco di gente con cui si hanno rare occasioni di contatto. Dal punto di vista dei risultati invece ho raccolto due delusioni: a Sidney (nella foto) ero giunto con qualche problema fisico che non mi permise di correre al meglio; ad Atene la delusione fu grande perché dopo un’annata stupenda mi stirai una coscia sul terzo ostacolo e dissi addio ai sogni di gloria».

Guardiamo al futuro e alla nostra provincia: lei crede in una ripresa del movimento dell’atletica?
«Innanzitutto bisogna dire che il settore è in crisi un po’ in tutta Italia, anche a causa della mancanza di campionissimi; l’unica eccezione è Baldini e infatti il comparto maratona è in buona salute. Però guardo con favore al Varesotto che da sempre regala all’atletica italiano sportivi di primo piano. Ora possiamo contare su Gianni Carabelli, Arianna Farfaletti e, come detto, su Silvano Danzi. Confido nel fatto che, con due esempi in pista e un allenatore di alto livello, si possa creare un movimento in grado di esprimere al più presto qualche nuova promessa. Il mio rammarico è che in passato non ci sia mai stata una società sportiva varesina in grado di radunarci tutti: una "Varese unita" in alcuni momenti avrebbe potuto battere anche i gruppi militari nei campionati di società».

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Pubblicato il 10 Marzo 2006
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