Preghiera serale davanti al Municipio per i musulmani “sfrattati” da via Varese
Protesta civile ma fermissima dopo il sequestro dell'immobile usato come luogo di preghiera, e di proprietà della comunità islamica
Sfrattati e bisfrattati. Così si sentono i musulmani di Gallarate dopo che questa mattina il sindaco Mucci ha fatto mettere i sigilli anche al capannone di via Varese, dove erano in corso lavori per ottenerere l’agibilità e rispettare le norme di sicurezza.
E stasera la protesta si è espressa nell’ennesima preghiera di fronte al Municipio. I fedeli sono arrivati alla spiccolata dopo le 20: ne sono giunti alcune decine, poi è risuonata l’antica invocazione "Allah-u-akbar", "Dio è il più grande".
"È un esproprio di un immobile privato" tuona l’avvocato Tatiana Ruperto, legale della comunità islamica. "Di fronte ad atti del genere il Prefetto che fa? E i Carabinieri? Li abbiamo chiamato quattro volte, oggi, ma non sono intervenuti. Cosa dirà il ministro (Pisanu), con cui ho parlato oggi?". Ruperto è fieramente indignata: "Siamo al punto che mi vergogno di essere italiana, questa non è più una democrazia, si violano le regole fondamentali della convivenza, a partire da quelle della Costituzione sulla libertà di culto".
L’imam di Gallarate, Mohamed El Mahfoudi, ha un sorriso amaro, triste e stanco stampato sul volto. "Questa sera preghiamo qui in segno di protesta. Il gesto dell’amministrazione comunale ci ha feriti profondamente". Per la comunità islamica i tempi continuano ad essere difficili: "Da un lato ci sforziamo di cooperare al meglio anche tramite la Consulta islamica voluta dal ministro Pisanu, dall’altra ci fanno questo, il che non aiuta a mantenere calmi gli spiriti. Noi cerchiamo di educare la gente al rispetto della legge, ma il Comune non ci aiuta per niente". "Siamo gente che lavora, la maggior parte di noi è qui da quindici-sedici anni" dichiarano altri fedeli, con un misto di rabbia e rassegnazione; e i più "scafati", a conoscenza dei meccanismi della politica nostrana, non esitano a puntare il dito contro un sindaco in cerca di rielezione.
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