Quando “Precariare stanca”, firmare aiuta

Cgil e DS promuovono la raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare che mira a rivedere e limitare i contratti di lavoro temporaneo

L’hanno voluta chiamare "Precariare stanca", parafrasando una celebre raccolta di poesie del grande Cesare Pavese, intitolata "Lavorare stanca". È la campagna nazionale contro il lavoro precario, organizzata da alcuni sindacalisti della Cgil e dai Democratici di Sinistra, che vede all’interno del suo comitato promotore nazionale personalità del calibro di Stefano Rodotà, di don Ciotti e del sociologo Luciano Gallino. Scopo della campagna è raccogliere le firme necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare (testo) che prevede fra l’altro: abrogazione della legge 30, modifica del codice civile, per ridurre la ridda delle tipologie contrattuali; maggiore responsabilità delle imprese verso coloro che non hanno un contratto a tempo indeterminato, aumentandone lo stipendio ed offrendo maggiori tutele; salvaguardia del lavoro esternalizzato, in modo che l’impresa mantenga i diritti di questo tipo di lavoratori per quattro anni; assunzione stabile per i precari impiegati nella pubblica amministrazione. Le firme necessarie sono 50.000, a livello nazionale; ma è naturale che se attendano molte di più – dopotutto, quando si firmò per salvaguardare l’articolo 18 furono raccolte ben 5,4 milioni di firme.

In mattinata, presso al sede DS di viale Repubblica Busto Arsizio, Flavio Nossa della segreteria provinciale Cgil e Marco Pozzi della direzione provinciale DS hanno presentato la campagna e le iniziative collegate nella nostra zona. Su tutte, l’incontro che si terrà giovedì 23 marzo alle 21 a Villa Tovaglieri, relatori figure significative della Cgil nazionale e locale e provinciale come Claudio Treves, Ivana Brunato e Frank Garrì, oltre a Maurizio Maggioni, segretario cittadino DS e candidato al Senato. Si firmerà presso il Comune di residenza – ogni amministrazione locale ha il suo modulo – il temine ultimo per la raccolta di firme scade il 13 luglio prossimo, e finora sono già state raccolte 15.000 firme in tutta Italia, ma la campagna è appena all’inizio.

"In Italia ci sono qualcosa come 4,5 milioni di precari sotto varia forma – con contratti che implicano o mascherano rapporti di lavoro subordinato" spiega Nossa. "Fino all’80% degli avvii di rapporti di lavoro avviene oggi attraverso gli strumenti contrattuali previsti dalla legge 30, e il loro consolidamento a tempo indeterminato appare sempre più un’utopia. Basti pensare al caso di Malpensa (l’"università" del precariato, ndr): dal 2001 al 2005 siamo passati da 14.000 a 19.000 dipendenti, ma il Centro per l’Impiego di Gallarate in questo lasso di tempo non ha registrato trasformazioni a tempo indeterminato dei nuovi impieghi". Intanto, giovedì 23 marzo dalle 15,30 si riuniranno in assemblea i precari dell’aeroporto, che stanno finalmente formando un comitato di autotutela con l’appoggio dei sindacati.

Quel che è grave agli occhi dei promotori della campagna "Precariare stanca" è che oggi si precarizza non solo il lavoro, ma anche la vita stessa. I giovani, anche volendo, in questo modo non hanno i mezzi per metter su famiglia e comprare casa, a meno di ipotecare la pensione o prosciugare i risparmi di una vita dei genitori. Ma anche – e sempre più spesso – lavoratori 40-50enni cadono vittime di questi meccanismi: per tacere poi delle prospettive di pensione di chi passerà una vita da precario. Una vecchiaia nella miseria più nera, ben al di sotto dei livelli di povertà, è assicurata, data la voragine contributiva che questi contratti comportano.

Marco Pozzi ricorda che nel programma dell’Unione è cruciale il tema dei diritti del lavoro. "Vi si lamenta, fra l’altro, la stortura per cui un contratto a tempo determinato costa molto, troppo di meno di uno a tempo indeterminato. Occorre ridurre questa disparità", osserva Pozzi. Ciò dovrebbe indurre le imprese a ridurre il ricorso a quelli che dovrebbero essere strumenti contrattuali flessibili ed occasionali, ed invece sono quelli abituali. "Infatti" rimarca Nossa, spargendo sale sulle ferite, "si sono precarizzati rapporti di lavoro che avrebbero potuto e dovuto diventare regolari e stabili. Altro che riduzione del lavoro nero, poi! È ora di sfatare una volta per tutte questa leggenda secondo cui più precarietà vuol dire meno sommerso. Oggi c’è chi chi si rompe le ossa in incidenti sul lavoro e torna in cantiere bendato e steccato per non perdere il rinnovo del contratto: questa è la realtà, cose che non si vedevano più da un bel pezzo. Non si può pretendere di competere con i Paesi emergenti sul costo del lavoro: è solo la qualità che ci può rilanciare. E poi: chi saltabecca da un posto all’altro di tre mesi in tre mesi, come fa ad imparare un mestiere, a sentire l’azienda come propria, ad introiettare un’etica del lavoro? E i giovani, sapendo che questo è il loro destino, perchè mai dovrebbero studiare?"

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Marzo 2006
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