«Qui insegnamo a convivere con l’Aids»

Aiutare le persone malate ad essere autonome: questa la ricetta dell'Albero, il primo centro diurno italiano riconosciuto dall'Asl

Luca aveva un lavoro come operaio in una fabbrica di gomma-plastica e non sa come ha contratto l’Aids o preferisce non ricordarlo. Non è un tossicodipendente e mai lo è stato, la sua vita fino alla scoperta della malattia poteva essere paragonabile a quella di qualunque altra persona "normale". Poi i primi problemi di salute che non si risolvevano mai fino alla scoperta di aver contratto la sindrome da immuno-deficienza acquisita e la rassegnazione. Quando è arrivato al centro diurno di assistenza l’Albero di Masciago Primo si reggeva a malapena in piedi, le sue mani non riuscivano a far scorrere una penna su un foglio mentre ora mostra orgoglioso la sua riacquistata capacità motoria e i miglioramenti con le mani: «Ora può firmare e scrivere – spiega Michele Pietrobon da dieci anni al fianco dei malati di Aids – può radersi la barba acquistando quello che tutti qui cercano, la loro autonomia». 

Quella di Luca è una storia tra le tante che sono passate in quello che è il primo centro diurno per malati di Aids convenzionato esistente in Italia: «Finalmente dopo anni di lunghe battaglie siamo giunti ad una degna conclusione e al riconoscimento da parte dell’Asl della nostra esistenza – spiega ancora Pietrobon – grazie alla legge regionale del 16 febbraio 2005 che ora prevede e regola anche i centri diurni». In questo centro gli ospiti ci passano la loro giornata insieme ai volontari che creano gruppo, dialogano con gli ospiti, pranzano e fanno attività di laboratorio:«Qui gli ospiti arrivano alle 8 del mattino e vanno via alle 17 – continua la responsabile sanitaria Daniela Sangiani da dieci anni al fianco di Pietrobon – cerchiamo di ascoltarli, di tirar fuori le loro rabbie e paure, li aiutiamo con i cocktail di farmaci che devono assumere e diamo spazio alla loro creatività».

Il centro, messo a disposizione gratuitamente dalla famiglia Colombo di Gallarate che effettua anche servizio di volontariato, è ben attrezzato con una sala per il relax, una cucina, un’infermeria, un laboratorio, un salone per le feste e un giardino che presto diventerà un orto. Ora il loro lavoro può venire allo scoperto così come i loro bisogni: «Il riconoscimento da parte dell’Asl ci permette di ottenere una diaria per ogni ospite – spiega Pietrobon – ma i bisogni sono molti e sono soprattutto legati ai trasporti e ai volontari». Al centro ce n’è bisogno vista la collocazione troppo lontana dal passaggio dei mezzi pubblici: «La fermata dell’autobus più vicina è a Rancio Valcuvia – continua Pietrobon – e i ragazzi che sono qui spesso vengono da lontano in quanto siamo l’unico centro con queste caratteristiche quindi ci servono persone che ci aiutino con i trasporti, inoltre alcuni degli ospiti hanno difficoltà motorie».

Sono circa una trentina le persone che sono passate negli anni dall’Albero e tutte hanno lasciato il segno con i loro problemi e i loro progressi e un cartellone con le foto testimonia i momenti belli passati in questa struttura protetta. Molti ora lavorano, due si sono conosciuti e sposati all’interno del centro stesso, tutti guardano in  faccia al mondo che spesso gli volta le spalle. Non importa perchè la battaglia contro questa malattia oggi non si fa solo nei laboratori scientifici in cerca del vaccino – come spiegano quelli dell’Albero – ma anche facendo informazione nelle scuole e aiutando le persone malate ad essere autonome e a farsi accettare.  

Varese non brilla per prevenzione visto che i dati a livello di province la collocano tra le prime cinque in Italia per numero di sieropositivi, sopra una provincia da tre milioni di abitanti come Napoli. Quello che l’Espresso, in una lunga inchiesta pubblicata qualche mese fa, ha chiamato il male borghese sta cambiando la sua portata avvicinandosi a persone come Luca, eterosessuale, con un lavoro,  nessuna dipendenza da droghe. Per contattare il centro il numero è 0332 725011, l’e-mail Calbero@libero.it.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 17 Marzo 2006
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