Impunità politica

Ragionando del costo della democrazia mi è apparso come il costo sia un aspetto importante, ma che sia meglio parlare di prezzo. Il costo in sé non è né alto né basso; dipende da cosa si ottiene in cambio. Il prezzo invece tiene conto della contropartita, e nel caso della nostra democrazia il prezzo è certamente alto, perché la qualità e la quantità di ciò che si ha in cambio sono inadeguate rispetto al costo sostenuto. Peggio: abbiamo pagato per una cosa che non abbiamo avuto. Ciò che vogliamo avere è un’amministrazione democratica, e per democratica intendo almeno nell’interesse di tutti i cittadini. Ma, abbiamo visto, i rituali democratici sono in gran parte degenerati in passaggi istituzionalizzati per finalità di carriere professionali e politiche personali in un contesto di sostanziale impunità politica..

Vediamo alcuni aspetti che ci aiutino a meglio inquadrare la questione.

Abuso di ufficio. Con legge del 1997 il reato è stato reso punibile solo se commesso per conseguire un vantaggio “patrimoniale”, e ne sono quindi esclusi i comportamenti che inquinano la vita pubblica quali il mercimonio di cariche per crearsi una clientela politica di sostegno. Se io, politico di potere, nomino un incapace che voglio favorire presidente di una municipalizzata o direttore generale di un’ASL, non sono censurabile.

Danni da malamministrazione. Sin dall’Unità d’Italia vigeva la regola che i pubblici amministratori che, attraverso l’esercizio delle loro funzioni, arrechino un danno ingiusto all’ente amministrato, sono tenuti a risarcirlo. Ciò poteva comportare, ad anni di distanza, procedure giudiziarie che sconvolgevano la vita di amministratori che avevano magari agito in buona fede e senza malizia. Nel 1994 si modificò la legge con due essenziali innovazioni: la responsabilità venne limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave e il termine di prescrizione venne abbreviato a cinque anni. Con legge del 1996 si precisò poi che il giudizio della corte non poteva sindacare le scelte dell’amministratore, e questo finì con il rendere insindacabile la mala amministrazione, al di fuori di casi di furto o appropriazione indebita.

I controlli. Mentre con la legge del 1997 si era ridotta l’area del controllo e della sanzione penale, venivano via via smantellati i preesistenti meccanismi di controllo non penale , senza sostituirli con altri che funzionassero davvero. L’intenzione dichiarata era stata: meno diritto penale, più controlli e responsabilità. In realtà, ridotto il primo, si sono ridotti e resi inconsistenti i secondi. I comitati regionali di controllo (Coreco) avrebbero dovuto svolgere una funzione di riscontro delle legittimità degli atti amministrativi dell’ente locale, procedendo in caso negativo all’annullamento. Il controllo di merito, invece, poteva solo portare alla richiesta di riesame della delibera. Questo controllo di merito non ebbe tuttavia grande utilizzazione, ed i comitati di controllo furono progressivamente assimilati al processo politico: le stesse forze politiche finirono con l’indicare i propri controllori di fiducia.

Si era dichiarato che si intendeva avere amministratori più liberi, ma anche più responsabili; meno timorosi del controllo formale, più attenti alle domande degli amministrati. E’ stato un emblematico caso di divergenza fra le dichiarazioni di intenzioni ed il concreto agire; i controlli della bontà della amministrazione per i fini del generale interesse sono di fatto inesistenti o inefficaci.

Salvi e Villone, nel loro libro “Il costo della democrazia” dal quale ho preso ispirazione, citano l’esempio degli amministratori di Meda che avevano effettuato numerose missioni all’estero (in Cina, Norvegia, Francia, Spagna, Russia e India) spendendo circa 250.000 euro al fine di promuovere in questi paesi i prodotti locali. La corte dei conti, sezione Lombardia, esame del 30 giugno 2005, dichiara che il suo giudizio deve fermarsi ad una valutazione in astratto della compatibilità della azione in esame con i fini istituzionali dell’ente e della razionalità delle scelte, compatibilità esistente dal momento che, secondo quanto sostenuto dalla difesa, la promozione all’estero era stata uno dei punti del programma elettorale del sindaco. Tutto bene, dunque, e i risultati di queste missioni, che tanto sono costate in denaro dei cittadini (anche di coloro che non concorrono alla produzione dei beni promossi) e in tempo impiegato dagli amministratori e funzionari del comune, sfuggono al giudizio della corte.

E’ difficile giudicare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della azione della pubblica amministrazione. Credo che, alla fine, possano giudicare solo i cittadini, alla soddisfazione dei quali questa azione è dedicata, e questo lo possono fare purché siano organizzati in forti strutture politiche. Purtroppo il senso della politica si è ora diluito e snaturato in impegni di bottega. Non ci resta che continuare a esaminare e discutere, e speriamo che qualcosa di valido prenda forma.

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Pubblicato il 11 Giugno 2006
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