A Busto i summit della Cosa Nostra gelese

Dalla denuncia di una vittima dell'estorsione mafiosa si svela un autentico impero criminale: nel Varesotto il "cervello" del riciclaggio di denaro sporco

Un autentico impero del crimine, che spaziava dall’usura alle estorsioni, dal traffico di droga al riciclaggio nelle attività economiche legali, quello stroncato dalla maxioperazione “Tagli pregiati” scatenata da DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Caltanissetta e Arma dei Carabinieri a partire da questa notte, 11 dicembre. È quanto emerge dalla relazione diffusa dai Carabinieri di Gela. L’indagine, che ha coinvolto pesantemente anche la zona di Busto con vari arresti, nasce dalla denuncia del proprietario di un supermarket di Gela. Nel settembre 2004 l’esercente denunciava quattro cugini, tutti membri della famiglia Rinzivillo, cui aveva dovuto cedere a suon di minacce il proprio supermercato a estinzione di un debito per la fornitura di carne. La storica “specialità” del clan Rinzivillo era infatti il controllo del commercio della carne all’ingrosso, di cui a Gela deteneva in pratica il monopolio.

Da lì i Carabinieri di Gela avviavano meticolose e pazienti indagini a tutto campo, anche con uso di intercettazioni, telecamere e altri strumenti sofisticati. Ne emergeva la struttura di un clan che cercava di riciclare i proventi delle attività illecite (usura, estorsioni ecc.) in altre lecite. Alla gestione diretta del business del clan, al fianco dei quattro fratelli Rinzivillo, “capi storici”, in buona parte in cella o al soggiorno obbligato, era stato “nominato” Paolo Palmeri (attualmente a sua volta dietro le sbarre), marito di una nipote dei quattro mammasantissima. Palmeri stava gestendo l'”inabissamento” delle attività del clan – meno atti eclatanti, limitati a Gela (incendi, attentati, minacce ecc.), e più “affari” a Busto.

Fondamentale risultava appunto il legame con Busto, ricostruito dalle indagini. Il clan Rinzivillo, ma anche gli Emanuello, altra potente famiglia gelese, hanno infatti investito molto denaro al Nord nelle attività economiche gestite in un primo tempo da Angelo Bernascone, descritto dai Carabinieri di Gela come “factotum” dei Rinzivillo. Trait d’union tra il gruppo gelese e quello di Busto risulterebbero essere stati Salvatore Cassarà (ora collaboratore di giustizia, che ha confermato quanto già appurato dagli inquirenti con le intercettazioni), Domenico Sequino, Emanuele Attardi e Carmelo Vella, tutti organici al Clan Rinzivillo; Nicola Liardi ed Emanuele Ganci (arrestato a Gallarate) gestivano invece gli affari per gli Emanuello. Tutti questi trasferivano al Nord i capitali illeciti, riscuotevano i profitti delle operazioni imprenditoriali avviate, e nel contempo fungevano da emissari dei clan.

Per il sodalizio criminale Busto era una “propaggine” della stessa Gela. A Busto è infatti da da tempo saldamente insediata una cellula mafiosa che i fratelli Rinzivillo hanno trasformato in uno snodo centrale per le attività di riciclaggio dell’organizzazione; in città si svolgevano i summit tra gli affiliati. Qui si decideva come riciclare i capitali ricevuti da Gela per poi “girarli” a Roma, dove risiedevano i gemelli Salvatore e Crocifisso Rinzivillo, due dei quattro capi del clan. A Busto e zona gli affiliati ai clan Emanuello (sono citati Emanuele Ganci, Angelo Bruno Greco, Nicola Liardo, Massimo Incorvaia, A.B.) e quelli del clan Rinzivillo controllavano insieme riciclaggio, controllo degli appalti, traffico d’armi e droga, reati contro la persona e il patrimonio, ripartendosi equamente i proventi.

Nel Nord il clan Rinzivillo conta, secondo quanto riferiscono i Carabinieri di Gela, su varie complicità: imprenditori o sedicenti tali, professionisti esperti in materia contabile, amministrativa e bancaria (è emersa la collaborazione di agenzie di mediazione creditizia) e propri affiliati deputati a specifici compiti (si fanno i nomi di Francesco Angioni,  Giorgio Gallione, Simone Di Simone, Domenico Sequino, Matteo Romano). L’infiltrazione nel sistema degli appalti e subappalti permetteva ai clan di lucrare illecitamente persino sulla paga degli operai, come nel caso di un appalto per lavori alla centrale Enel di Tavazzano (Lodi), dove veniva trattenuta ai dipendenti una percentuale “in nero” che finiva in mano al Bernascone e nelle capaci casseforti del clan. È solo un esempio: in generale si nota comunque un preoccupante fenomeno di contiguità fra singoli imprenditori in cerca di “facilitazioni” (l’alterazione della concorrenza determinata dalla “protezione” di un clan) e organizzazioni malavitose.

Tra gli “affari” più significativi realizzati quello portato a termine a Brescia da Crocifisso Rinzivillo e Giorgio Cannizzaro (esponente di spicco del clan catanese Santapaola) attraverso il quale la famiglia avrebbe realizzato un utile di ben 2.800.000 euro. Proprio durante questo affare emergevano però aspri contrasti sia all’interno del clan che con gli Emmanuello. Così Angelo Bernascone veniva messo da parte e rimpiazzato da Salvatore Fiorito, esponente dei Santapaola descritto come “soggetto di indiscusso spessore mafioso” e arrestato la scorsa notte dai Carabinieri.

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Pubblicato il 11 Dicembre 2006
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