Galanda, capoclan biancorosso: «Questa Whirlpool è una famiglia»

Intervista al lungo varesino, uno dei protagonisti del buon momento della squadra di Magnano. "Un pivot di peso? Servirebbe in Eurolega, non in campionato"

A metà intervista il concetto fondamentale della chiacchierata si concretizza nella forma di Gregor Hafnar. «Ehi Giacomo, quando finisci segui gli altri. Vi aspetto». «Questa sera cena slovena, cucina la ragazza di Greg» spiega Galanda che aggiunge: «Stavo dicendo che questa squadra è come una famiglia, e infatti non è la prima volta che ci troviamo a mangiare a casa dell’uno o dell’altro. Per esempio la cena argentina è stata superlativa».
Trentuno anni, cavallo di razza e di ritorno su quel parquet che nel 1999 lo vide contribuire alla grande allo scudetto della stella, Giacomo Galanda (sotto, nella foto di M. Guariglia), è ora sempre più calato nel ruolo di totem di una Whirlpool che dopo gli affanni iniziali sembra davvero decollata.

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Prima le sconfitte con Fortitudo, Milano e Treviso, poi un cambio di rotta che vi ha portati in alto. Cosa è successo dopo quelle tre partite?
«Non ci siamo detti niente, al massimo abbiamo pensato di dover continuare a lavorare. Quelle non erano state sconfitte qualsiasi: a parte l’ultimo quarto con Milano avevamo giocato comunque bene, provando a vincere. Io già allora dissi due cose: che la Whirlpool non andava giudicata da poche giornate ma sul lungo periodo e che se avessimo rigiocato più avanti quelle gare, le avremmo vinte noi».

Dopo Biella avete dato una risposta pronta contro Napoli e poi in casa con Udine. Fiducioso per la seconda metà del girone d’andata?
«Sì, fiducioso perché questa dev’essere la caratteristica che ci contraddistingue. Certo, non è detto che andare a incontrare Montegranaro in trasferta sia un’impresa facile; ma se noi giocheremo con quell’entusiasmo che in casa ci sostiene e fuori ci dà tranquillità, potremo fare altri passi avanti».

La società ha scelto lei per avere un leader italiano su cui fare sicuro affidamento. Come si è calato in questo ruolo?
«Il mio ritorno a Varese è stata una scelta di vita e un sacrificio economico sia della società, sia mio. Sono arrivato perché qui mi trovo bene e so di essere stimato, ma anche senza illudermi né di vivere di rendita né di ritrovare lo stesso ambiente del ’98. Contribuisco volentieri a creare, anzi a consolidare questa famiglia biancorossa che è sempre più evidente. Di questo però va dato atto a tutti, dirigenti, tecnici e giocatori. Io sono uno dei tanti».

Recalcati la considera tutt’ora il capitano della Nazionale, e sabato scorso era qui a vedere Varese-Udine. Un rapporto saldo, il vostro?
«Sì, ci incontriamo spesso, l’ultima volta allo spettacolo dei Fichi d’India! Tra noi c’è sempre una buona intesa e il fatto che mi consideri capitano mi rende onore e mi dà responsabilità. Il gruppo azzurro non si ferma ai 12 che vanno alle competizioni; è una squadra allargata dove possono trovare posto in tanti. È un faro per tutti i giocatori italiani, soprattutto in un momento di esterofilia come questo. Mi piace aiutare Charlie a motivare i giovani talenti quando vengono convocati».

Secondo alcuni questa Whirlpool ha bisogno di un pivot di peso per fare un salto di qualità definitivo; lei concorda? E cosa può fare Howell per migliorare ai tiri liberi?
«Se partecipassimo alle coppe europee quello del "centrone" sarebbe un discorso condivisibile. In Italia però non vedo squadre che ci obbligano ad avere un giocatore simile a parte Milano, Teramo e Siena. Io, Fernandez e Howell abbiamo caratteristiche diverse e possiamo dare diverse opzioni al gioco di squadra. Per i tiri liberi serve che Rolando, il quale è dotato di buona mano ma di meccanica rivedibile, riesca a trovare la concentrazione in ogni momento. Ma lui le partite ce le fa vincere prima, in difesa, e non con i personali».

Chiudiamo con Bargnani, un italiano nel suo ruolo che dopo qualche fatica sta crescendo alla grande in Nba. Se va avanti così le soffierà qualche minuto in azzurro.
«È quello che mi auguro. Ritengo sia importante che Andrea venga in Nazionale: abbiamo bisogno di uno come lui e spero che non snobbi la maglia dell’Italia. In questo Nowitzki fa scuola: risponde alle convocazioni e dà sempre il massimo per la sua Germania. Per ora sono contento delle sue prestazioni: lo conosco poco dal punto di vista personale, però ritengo che abbia la personalità, la mentalità e l’atletismo per fare bene da subito. Insomma, se fossi stato il general manager di qualunque franchigia l’avrei scelto anch’io al numero uno».

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Pubblicato il 06 Dicembre 2006
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