«Meno guerre preventive, più coooperazione e aiuto allo sviluppo»

Questa la ricetta della Cisl per aiutare anche l'industria bellica nella sua riconversione al civile: la soluzione non passa per singoli Paesi, ma per un approccio globale

Meno guerre preventive e missioni di pace in armi, e più cooperazione: questa la ricetta della Cisl per ovviare allo iato fra le enunciazioni ideali e la realtà quotidiana dell’industria degli armamenti. È il succo del convegno dal titolo "Produzione militare e civile: etica e ragioni industriali a confronto" tenutosi oggi ai Molini Marzoli di Busto Arsizio.

L’incontro, organizzato dalla Fim (nazionale,
Lombardia, Brescia e Varese), dalla Cisl varesina e dalla Fondazione
Tarantelli, ha visto la neosegretaria della Cisl di Varese Carmela Tascone introdurre i vari relatori: Riccardo Moro, direttore della fondazione
"Giustizia e solidarietà" della Cei, Gianni Alioti,
dell’ufficio internazionale Fim Cisl, Savino Pezzotta (foto sotto), presidente
della Fondazione Tarantelli e ex segretario generale della Cisl, Carlo Spreafico, consigliere regionale al Pirellone. Ad introdurre e chiudere i lavori erano Roberto Benaglia, segretario generale Fim
Cisl Lombardia, e Cosmano Spagnolo, segretario nazionale dello stesso sindacato.

I sindacalisti non si sono nascosti dietro un dito, più d’uno dei relatori ha citato la «schizofrenia» apparente di trovarsi ad invocare la pace nel mondo lavorando in fabbriche di armamenti. «Qui non si vuol fare del corporativismo a difesa del posto di lavoro, e nppure dell’ideologia» chiosava Benaglia. La buona notizia è che avanza la produzione ad uso civile, giunta ormai ad impegnare i due terzi della produzione del settore aerospaziale europeo.

Alioti ricordava i pericoli esistenti e di cui poco si parla, come le 27.000 testate nucleari in giro per il mondo, e i costi spesso assurdi dei moderni sistemi d’arma, perlopiù inutilizzabili nello scenario attuale che non prevede vere guerre convenzionali. Intanto, il settore militare continua a contare essenzialmente su commesse interne dei singoli Stati: a parte i casi di Russia e Ucraina l’esportazione è sì forte, ma non decisiva. Quanto alla nostra industria delle armi, si difende benone, e l’anno scorso ha visto un picco di esportazioni, anche grazie a recenti, lucrosi contratti siglati da importanti aziende della nostra provincia.

Savino Pezzotta ha parlato della Finanziaria e del "caso" determinato dal senatore Sergio De Gregorio, presidente della Commissione Difesa, che, eletto con l’Italia dei Valori, ha bocciato la manovra con il suo voto (decisivo) a causa dei tagli di spesa previsti al settore. «Quando sarà un sottosegretario alla cooperazione a mettere in ginocchio un governo perchè gli dà pohi soldi, allora sì che dovremo suonare le campane a festa» ironizza Pezzotta. «Un Paese come il nostro ha bisogno di strutture militari come quelle che abbiamo?» si chiede Pezzotta. «E non è ora di dare all’Europa un ruolo più attivo anche in ambito militare? Non escludo in assoluto l’uso della forza, ma se proprio si dovesse, ad esempio in Libano, vorrei veder sventolare la bandiera europea». Per Pezzotta «non possiamo renderci complici oltre della strategia della guerra preventiva: perchè dobbiamo sempre accodarci, e correre per sedere al tavolo della pace?» Il paragone, aspro quanto ironico, richiama tempi ben più neri per l’Italia, alla radice di una subordinazione che ci fa deboli da oltre mezo secolo. «Non mi rassegno alla realpolitik della forza» denuncia il sindacalista: «cooperazione e sviluppo devono essere le chiavi del futuro, i pilastri della politica estera e commerciale. Però serve un profondo cambiamento prima di tutto dell’opinione pubblica, non si può fare gli idealisti "senza se e senza ma" il sabato e lavorare in silenzio il resto della settimana».

Molto interessante anche l’intervento di Riccardo Moro, appena tornato da un viaggio in Guinea, Paese africano poverissimo con cui l’Italia intrattiene intensi rapporti di cooperazione e aiuto allo sviluppo. Il "dividendo della pace" che tutti si attendevano dalla caduta del Muro di Berlino, con la previsione di minori spese militari, non è arrivato, lamenta Moro. «Si è passati da una situazione in cui ai paesi poveri si richiedevano solo e soltano le più inique politiche di aggiustamento, a suon di privatizzazioni e tagli alle spese sociali. Non andavano neppure in Parlamento queste misure, tanto erano impopolari: si adottavano e basta, a tutto vantaggio dei Paesi ricchi e di una minoranza al potere. I promessi vantaggi per tutti (le "magnifiche sorti e progressive" del liberismo, ndr) non si sono mai visti. Eppure qualcosa sta cambiando in meglio: ora ai paesi assistiti si rimette il debito in cambio di programmi di riduzione strutturale della povertà». Purtroppo, le uniche spese che non si tagliano mai in Paesi come la Guinea sono proprio quelle militari: i soldati servono a reprimere quella che già papa Paolo VI, nella sua enciclica Populorum Progressio, chiamò la «giusta ira dei poveri». Così, un grande sciopero generale a Conakry, lo scorso giugno, è finito con venti morti ammazzati quando anche gli studenti sono scesi in piazza. Su quasi tutti i media internazionali, «nonostante avessimo inviato fior di notizie», il rilievo dato è stato minimo.

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Pubblicato il 01 Dicembre 2006
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