«Tra me e la montagna ottomila metri di rispetto»

Intervista a Marco Confortola, alpinista estremo: "Quando salgo non alzo neppure gli occhi verso la cima". Prossimo obiettivo scalare il Cho Oyu e scendere con gli sci

Marco Confortola non è un trentenne come gli altri, nonostante il cellulare e i modi da ragazzo qualunque. Non è neppure un alpinista come tutti gli altri, perché le sue cime ormai sono quelle sopra la fatidica quota ottomila. E anche nel ristretto club degli scalatori himalayani, Marco è uno che si distingue: perché se gli altri toccano la cima e ridiscendono in modo più o meno tradizionale, questo "ragazzo" nato e cresciuto in Valfurva gli "Ottomila" li ridiscende con gli sci. Un’impresa unica, incredibile a dirsi, ma già riuscita sulle pendici dello Shisha Pangma e che si ripeterà sul Cho Oyu dal prossimo 9 aprile.

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Confortola è stato ospite mercoledì scorso del Cai Varese per una conferenza che ha tenuto inchiodati sulla poltrona tutti gli spettatori, ma ha anche voluto incontrare VareseNews a cui ha descritto sensazioni e sentimenti che lo accompagnano durante le sue imprese.

«La montagna – racconta Marco – è più forte di te: se lei decide di buttarti giù lo fa. C’è solo un modo per poterla affrontare, ed è quello di affrontarla con umiltà. Io per giorni, anche mentre mi avvicino ai campi avanzati, non alzo neppure gli occhi verso la cima: questione di rispetto, ti manca la volontà di farlo».
Questione di sensibilità, di rapporto unico: «È vero. In questo momento io ho sposato la montagna: il mio modo di vivere per ora non mi permette di crearmi una famiglia».
Marco parla di "positività" o "negatività" quando si trova ad arrampicare sui pendii. «È strano, ma è così. Sull’Annapurna, la "montagna assassina", mi sentivo a mio agio, così come sulla Nord del Lotshe. Invece ad esempio, una cima che conosco bene come il Gran Zebrù, mi mette grande soggezione. D’altra parte mi hanno soprannominato Selvadegh, selvaggio, a causa del mio istinto: ma se vuoi fonderti con la montagna devi avvicinarti al modo di agire degli animali». 

L’idea di unire grandi scalate a sci estremo è relativamente recente, ma non deve stupire: Marco è prima di tutto maestro di sci e, tra l’altro, è cugino di Antonella Confortola, fondista azzurra di ottimo livello. «Amo gli sci, nonostante portarli in spalla sino in vetta sia una fatica supplementare. E non vi dico quanto sia difficile, una volta giunti in cima, cambiare le scarpe e metterseli ai piedi». La vetta infatti non è un traguardo, ma solo una tappa nelle imprese alpinistiche. «È vero: ad esempio io sull’Annapurna non ho neppure alzato le braccia. Da lì si inizia un nuovo cammino determinante: tantissima gente è arrivata in cima e non è più tornata alla base». La discesa con gli sci, tra l’altro, presenta difficoltà superiori a quella tradizionale. E soprattutto, non perdona in caso di errore. «Servono tecnica, autocontrollo ed esperienza. E la consapevolezza che non si può commettere alcun errore: se sbagli sei morto. Lo so, ma io voglio tornare a casa a tutti i costi. Per affrontare la discesa percorro gli stessi tratti che ho salito a piedi. Non sono percorsi che si possono provare o conoscere prima: l’unico modo che ho per vederli, è quello di farli durante l’ascesa. Un’altra cosa importante è valutare quali tratti non possono essere affrontati con gli sci: in quei casi sono costretto a toglierli, non ho altra scelta».

Tra gli alpinisti che lo hanno ispirato, Marco ne cita uno su tutti: «Walter Bonatti: il più forte del mondo. Credo che sia stato un grande precursore. Messner, ad esempio, è un fenomeno; però anche lui ha beneficiato delle idee di Walter».
Intanto, parlando del fenomenale scalatore bergamasco, Confortola torna con i pensiere alle "sue" montagne, quelle che più ama e che gli permettono di testare la condizione prima della grandi imprese. «Il gruppo dell’Ortles-Cevedale rimane la mia palestra, quella che mi aiuta a crescere. Anche per questo ho deciso di fondare l’associazione "Sport e vita" che servirà per avvicinare all’alpinismo i più giovani. Ci tengo, voglio che anche le nuove generazioni comprendano la bellezza e l’importanza della montagna».
Intanto, però, il Cho Oyu con i suoi 8.201 metri è già nel mirino di Marco e dei suoi sci. La sfida è lanciata.

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Pubblicato il 16 Marzo 2007
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