Il miele, nuovo obiettivo della concorrenza cinese

Abbassati radicalmente i prezzi, gli apicoltori varesini soffrono. E puntano al riconoscimento della DOP

Questi sono anni in cui la cultura agricola del varesotto va riscoprendosi: prodotti che sembravano solo leggenda come le pesche di monate e il vino di Angera riprendono dignità  e persino un marchio, con la promozione, il recupero storico e la ricerca di uno dei marchi europei di produzione come l’IGT e il DOP. Ma tra questi ce n’è uno che per il riconoscimento sta ancora  lavorando, anche se è già stato oggetto di premi internazionali e nella  versione "acacia" ha persino una sorta di mini leadeship: il miele varesino.

«Tra tutti i prodotti “tipici” nati in provincia e che hanno in realtà una scarsa produzione,  il miele, che è un prodotto davvero tipico della nostra zona, sta vivendo un momento di difficoltà»: a parlare è Guido Brianza (nella foto), presidente dell’ Associazione produttori apistici della provincia di Varese:  400 soci, di cui un centinaio con partita iva e 40 a tempo pieno, per un totale di circa 12.500 alveari. «Da quando hanno riaperto i mercati cinesi, e ci sono annate – come queste ultime – in cui la produzione è aumentata,  i prezzi sono precipitati. Così, nei magazzini ci sono grandi quantità di prodotto».

Guido Brianza è uno degli apicoltori professionisti, proprietario dell’apicoltura Erba di Lozza: oltre a vendere direttamente il prodotto dei suoi 400 alveari, ha contratti con i due Iper della provincia e vende parte della sua produzione all’ingrosso, che nel 2006 era di circa 230 quintali.
E’ dalle sue parole perciò che si scopre un altro settore dell’economia varesina in cui la Cina entra come concorrente formidabile: quello della produzione di miele. Non è solo il tessile o il calzaturiero a fare le spese delal globalizzazione ma anche, anche, e in maniera più sorprendente, l’alimentare: soprendente perchè la distanza e il tempo di trasporto di un alimento, considerata benefico come il miele, contano sulle sue proprietà.

Ma anche in questo caso il prezzo, come in tutti i campi, conta molto: «In provincia ci sono diverse aziende con una dimensione e una produzione concreta, spesso dedite completamente alla produzione, poi conferita a chi materialmente lo distribuisce e commercializza – spiega Brianza – un sistema che è stato remunerativo fino al 2004, ma ora la situazione è decisamente diversa: dai 5 euro al chilo "alla botte" di alcuni anni fa, si è passati a 2 euro e venti, il suo prezzo è dimezzato».

La via di fuga, come in tutti i campi, è perciò la qualità, possibilmente certificata: «Stiamo lavorando per la denominazione di origine protetta per il nostro miele, in collaborazione con il consorzio qualità miele varesino – spiega Brianza –  il disciplinare ormai è pronto, l’abbiamo presentato ad Agrivarese. Ora dipendiamo dalla Regione per la sua consegna». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Aprile 2007
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