Ore di attesa: “sono solo un codice verde”

Il pronto soccorso scoppia: dalle 6 del mattino alle venti quasi 200 i pazienti accolti all’accettazione

Un grande atrio: la “camera calda” per le ambulanze; si superano due porte scorrevoli per accedere ad un’ampia sala d’attesa. Le sedie occupate sono tante, poche quelle libere, fatta eccezione di uno stanzone dove ci sono le macchinette del caffè: lì è vuoto. È il nuovo pronto soccorso dell’ospedale di Varese. Gente che entra ed esce in continuazione. Anche alle 20.
Il fatto che un infermiere sia stato aggredito non è ancora girato di bocca in bocca tra chi attende. In tanti guardano, qualcuno sbuffa, c’è chi telefona. Non occorre fare domande quando dalla tasca esce il taccuino e la biro. E la fila, dal triage, si sposta. Attacca un giovane che sogghigna, ma in modo isterico. “Mio padre è su quel lettino dalle 2 di questo pomeriggio, mi hanno detto che ha un codice verde, ma le pare normale?”. È il turno di una donna bionda e minuta; anche in questo caso, niente nome, solo parole, e tante. «Dico, ma può un uomo di ottanta e passa anni non venir visitato da un medico perché ha un codice verde? Ha avuto problemi oggi, in passato un aneurisma, ma nulla: è un codice verde, mi hanno detto: deve aspettare».
Fuori, nella camera calda, la processione continua: una ragazza “rimbalzata” – dice la madre – questa mattina da Cittiglio che finalmente viene dimessa e se ne va con le stampelle seduta sui sedili posteriori di una familiare. Si avvicinano in due, anche loro codici verdi: uno alto, occhiali e codino, sui cinquant’anni “Sono un architetto e ho visto i bagni: ma lo sa che oggi due persone sono rimaste chiuse dentro? Se gli fosse venuto un malore, chi le avrebbe soccorse?”; l’altro cerca il padre: «Sono ore che se lo sono portato via, dietro la tenda, e non so più che fine ha fatto!».
In tanti stanno là, dietro la tenda appunto: è un separé verde, che si trova dietro il bancone del triage e separa la zona di arrivo dalle sale del pronto soccorso vero e proprio. Sembra ricavato da un telo da sala operatoria coi buchi nella parte superiore per farci passare uno spago che lo tiene su. Ogni tanto si apre per far passare un’infermiera dal camice giallo. Spesso rimane aperto e si intravedono un’anziana sdraiata su un lettino e poco distante un uomo seduto che si tiene un panno sul naso. Anche loro sono codici verdi, che aspettano: una lastra, una firma su un referto, o forse il ricovero.
Il problema principale, parlando con gli infermieri, è costituito dalla mole di lavoro prodotta da persone che non stanno bene, hanno un problema e si recano al pronto soccorso: fin qui tutto normale. Ma quando poi i sanitari verificano che la prestazione dovuta non è urgente, o addirittura deve essere fornita in altra struttura (che spesso gli utenti non trovano, o non conoscono), tocca aspettare. Il lavoro viene intervallato dalle urgenze, dagli arrivi delle persone gravi che raggiungono il pronto soccorso con mezzi propri o con l’ambulanza. Un via vai mostruoso che difficilmente si ferma. I turni di lavoro degli infermieri di ps sono di 8 ore: 6-14, 14-22, 22-6. Può capitare che in un turno come quello di giovedì, chi prende servizio alle 6 veda passare dal ps più di 100 persone: tutte da prendere in consegna, valutare e visitare assieme al medico, che stabilisce le priorità, stila diagnosi e prende i parametri. Un lavoro delicato e massacrante, che in molti, in pronto soccorso, affermano di riuscire a fare con difficoltà.
Le storie che si sentono sono molte, ci sarebbe perfino da raccontare quella della signora che si lamenta anche mentre esce, nonostante non sia più un codice verde.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Aprile 2007
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