“La politica è incapace di bonificarsi al proprio interno”

Questa l'impietosa diagnosi stilata dal procuratore di Torino Giancarlo Caselli e dai giornalisti Elio Veltri e Peter Gomez, ospiti del Sociale per un incontro sulle mafie

Quello tenutosi lunedì sera presso il cinema teatro Sociale di Busto Arsizio sul tema “legalità e lotta alle mafie" e organizzato dall’associazione Liberi di Pensare non è stato un incontro qualsiasi. Quanti vi hanno partecipato hanno potuto toccare con mano la determinazione e l’impegno civile di chi ogni giorno si trova in prima linea nella lotta alla mafia.

La conclusione dell’incontro è stata affidata alla persona che più si è esposta nella lotta alla mafia, un magistrato che ha rappresentato le speranze di tutta la Sicilia e a cui è stato impedito di proseguire il suo lavoro proprio nel momento in cui ha cominciato a scoprire i legami tra mafia e politica. Si tratta di Giancarlo Caselli, oggi procuratore generale presso la Procura della Repubblica di Torino. Caselli si dice «profondamente orgoglioso di aver fatto parte di un movimento che ha contrastato la mafia e che nel tempo a raggiunto numerosi risultati, come la legge che permette allo stato di sequestrare i beni ai mafiosi per restituirli alla società civile». Caselli ricorda anche persone come Libero Grassi che si sono opposte all’oppressione mafiosa del pizzo a cui le istituzioni hanno voltato le spalle. «Alcuni magistrati», prosegue, «volevano tenere Falcone lontano dai processi di mafia perchè le sue indagini, testuale, avrebbero rovinato l’economia siciliana. Questo per dare un’idea del peso della mafia nel nostro paese, e lo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha ricordato che la mafia è il vero blocco dello sviluppo del sud e del nostro paese». Il procuratore chiude i suo intervento esprimendo anche una riflessione sulla politica: «la nostra politica si dimostra incapace di bonificarsi al suo interno, questo perché tiene sempre meno conto della morale nelle scelte che compie. Un esempio è stata la gestione del processo Andreotti: la sentenza della cassazione prova definitivamente che Andreotti ha intrattenuto rapporti con la mafia fino alla primavera dl 1980, il reato però è caduto in prescrizione. Eppure oggi se ne parla come di assoluzione, questo è prima che un errore tecnico un errore politico perché non tiene conto della responsabilità morale che ad oggi dovrebbe essere la prima preoccupazione della politica del paese».

Fra gli intervenuti alla serata antimafia vi erano poi due giornalisti con un compito difficile: raccontare tutto quello che troppo spesso ci viene nascosto dalla “libera informazione” del nostro paese. Elio Veltri, giornalista di origini calabresi con una carriera politica alle spalle, snocciola alcuni dati e fa qualche riflessione. Apre il suo intervento citando un rapporto della DIA del 1993 sulla densità criminale nelle varie regioni d’Italia: la Calabria vanta una densità criminale del 27%, la Sicilia del 10%, la Campania del 7% e la Puglia del 2%. «A distanza di 15 anni», prosegue Veltri, «le cose sono notevolmente peggiorate rispetto al quadro del ‘93. La mafia è un esercito che ha occupato il paese e che può comprarsi i palazzi della politica». E da noi? «In Lombardia c’è il più grande impianto criminale del paese poiché tutti le organizzazioni criminali vengono qui a riciclare il loro denaro. Il rapporto del ministro degli interni Amato del 2006 documenta per esempio un grosso investimento di denaro di origine mafiosa in un affare che coinvolge le città di Busto Arsizio e Pavia» dice Veltri.

Il secondo giornalista ad intervenire è stato Peter Gomez, di recente autore di un libro scritto con Lirio Abbate (sotto scorta proprio a causa del suo contenuto) sui complici di Bernardo Provenzano. Gomez se la prende con l’informazione: «un’informazione», dice, «che all’indomani della cattura del boss Bernardo Provenzano ha passato il suo tempo a interrogarsi sulle ricotte e le cicorie trovate nel covo del latinte piuttosto che sui suoi complici, che non erano occulti e segreti ma conosciuti da tutti, era sufficiente parlarne». Gomez solleva anche un problema fondamentale della nostra politica, che «non applica una selezione morale nella scelta delle nostre classi dirigenti, così oggi ci troviamo ad aver votato alcune persone che innanzitutto non abbiamo scelto, grazie a questa legge elettorale, e che sono collegate con alcuni esponenti delle principali organizzazioni mafiose. Dobbiamo pretendere dai nostri partiti una maggior selezione morale sulle persone che essi desiderano candidare».

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Pubblicato il 09 Ottobre 2007
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