Un flop che angoscia i tifosi
C’era una volta in Lombardia un grande triangolo cestistico i cui vertici erano Milano, Varese e Cantù, dove le squadre locali, in epoche diverse ma con una certa continuità, dominavano le scene nazionali ed europee.
Oggi il ricordo di quegli anni di gloria rende ancora più malinconico il declino delle squadre che furono protagoniste. A Varese si è molto più che tristi, si vive la condizione dolorosa del potente finito in miseria. E la sofferenza è ancora più acuta perché all’origine del tracollo della squadra, ormai avviata alla retrocessione, non c’è stata penuria di soldi, ma forse di cultura gestionale.
Un flop inatteso, strano in una città che ha sempre superato e supera le difficoltà grazie alle capacità imprenditoriali, al senso di appartenenza e ai sacrifici di chi ricopre ruoli subalterni. Un flop quindi che è angoscia per quel grande patrimonio di amore e fedeltà rappresentato dalle migliaia di tifosi che da sempre sono vicini alla squadra.
Si allontana anche il rilancio della squadra di calcio il cui destino era stato legato alla realizzazione di uno stadio nuovo, corredato di ampi spazi per attività economiche.
Una storia diversa che non travolge coloro che pensavano di restituire Varese alla storia del calcio professionistico, però un segnale in più per uno sport che appassiona ancora moltissimo, ma che per i suoi costi esorbitanti di fatto resta alla portata solamente di personaggi che ogni anno possono perdere milioni di euro, in provincia e nelle metropoli.
La dinastia dei cosiddetti grandi presidenti sembra immortale e non muta nemmeno pelle: oggi come ieri abbiamo grandi principi e mercanti, intelligenti e abili, ma pure personaggi che per la popolarità si fanno “tosare”; e può non mancare qualche esemplare della categoria dei “ricchi scemi”, così definita da Giulio Onesti, antico presidente del Coni.
Lo sport professionistico di casa nostra ha sempre contato su guide societarie assennate, capaci di dare molto e di avere anche ritorni stratosferici in termini di immagine e pubblicità. Qualche predazione c’è stata quando le squadre sono state cedute a “stranieri”, a volte veri assi della speculazione. Il ritorno alla “mano” bosina ristabiliva però regole e valori apprezzati.
Non ci si può aspettare un grande futuro per il nostro sport professionistico, ma contare in una sua presenza caratterizzata dall’attenzione alla comunità. Pallacanestro e calcio già oggi sono esemplari nella formazione non solo agonistica, ma anche umana di un incredibile numero di ragazzi.
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