Cantele: il mio doping è una vita corretta

La campionessa di ciclismo è intervenuta allo spazio Scopricoop. «Se al mondiale i prezzi dei biglietti fosero stati più bassi, ci sarebbe stata più gente»

È bella, leggera e intelligente. Noemi Cantele, campionessa di ciclismo, è un’atleta con la testa sulle spalle. Sentirla parlare in un convegno sullo sport, le donne e le pari opportunità, è un vero piacere. All’ultimo mondiale varesino non ha vinto, ma l’entusiasmo che ha suscitato e suscita nella gente è un segno più importante delle coppe e delle medaglie che ha collezionato nella sua carriera.

Allo spazio Scopricoop di Varese la Cantele ha parlato di doping, delle difficoltà che ha una donna nel fare sport, in particolare il ciclismo, dei sacrifici e del futuro. A parlare con lei di donne e biciclette c’erano: l’assessore comunale Patrizia Tomassini, il giornalista Francesco Pierantozzi, il direttore sportivo Mariangela Algisi, Omar Beltran mental coach, Alfredo De Bellis di Coop Lombardia, Mario Minervino organizzatore della coppa del mondo femminile di ciclismo, Giulio Clerici medico sportivo e Serena Contini curatrice della mostra «StraordinariCicli» (fino al 12 ottobre a Villa Baragiola).

 

Noemi Cantele ha scelto di laurearsi (con il massimo dei voti), studiando in ogni minuto libero che aveva. Nei tempi morti e nelle pause dei trasferimenti, prima e dopo una gara, perché le donne che fanno ciclismo hanno poche gare a disposizione quasi tutte fuori regione. Una determinazione che è stata la leva principale del suo successo, come conferma la sua prima allenatrice, Mariangela Algisi: «Di tutte le bambine che allenavo, Noemi è l’unica che ce l’ha fatta, perché aveva qualcosa in più delle altre. Dietro i suoi risultati c’è un sacrificio enorme».

La Cantele per il momento, «è pulita». Il suo doping è una vita corretta, sana, che corre sui binari di regole ferree. Le atlete come lei devono combattere contro due avversari, uno visibile che ha un numero di pettorale, l’altro invisibile, che si traduce in una formula chimica.  «È solo una questione di valori – dice la Cantele –. Se credi nella lealtà e nello sport, non puoi scegliere trucchi e scorciatoie e quindi non puoi accettare il doping. È una pratica che va contro tutto ciò in cui io credo».

Bellezza e femminilità possono andare d’accordo con lo sport professionistico. Noemi, infatti, è l’esatto contrario di molte sue colleghe, troppo mascoline, dai muscoli sproporzionati, prive di una minima parvenza dell’appartenenza alla categoria «femmina». Cesare Chiericati, giornalista e sapiente uomo di ciclismo, ha ricordato che le prime atlete donne in questo sport comparvero alla fine degli Anni Cinquanta. Erano quasi tutte dell’est e «le loro gambe sembravano i tronchi di abeti siberiani».

Al mondiale varesino la Cantele era l’unica atleta di casa. Correre di fronte ai suoi tifosi era il suo grande sogno. Non lo dice con tono polemico, ma è convinta che se «i prezzi dei biglietti fossero stati meno cari, ci sarebbe stata più gente».
Per un momento Noemi è stata la protagonista della gara. Uno scatto potente poco dopo lo strappo del Montello per riprendere il gruppetto di testa e poi la resa sulla salita dei Ronchi. Eppure, per molte persone quell’interminabile istante è stato più emozionante di una vittoria. «Era come giocare nel mio giardino – ha spiegato la campionessa – . Passare per il centro, in mezzo a tutta quella gente, è stato emozionante, da brivido. Per tutto il percorso ho avuto la sensazione di sentire solo e soltanto il mio nome».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Ottobre 2008
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