Malpensa: oltre la crisi potrebbe esserci la terza pista
Presentato lo studio del Mitre di Washington. Cauti i sindacati, contrari gli ambientalisti. Gelosa: "La politica decida cosa fare dell'aeroporto"
Il mercato del trasporto aereo è in crisi, ma a Milano guardano avanti. Sea e il Mitre, istituto di ricerca statunitense leader nello sviluppo avanzato del sistema aeronautico, hanno presentato all’Università Bocconi di Milano lo studio effettuato tra il 2004 e il 2006 sui possibili sviluppi dell’aeroporto varesino che fanno rima con terza pista, argomento discusso e controverso da decenni. Dopo una breve presentazione del presidente della società che gestisce gli scali milanesi, Giuseppe Bonomi, la palla è passata agli esperti del Mitre di Washington che hanno illustrato i termini dello studio ai numerosi e attenti ospiti. Il clima è cambiato rispetto a quando è cominciata l’analisi sui possibili sviluppi di Malpensa, ma gli esperti del Mitre assicurano che la crisi verrà superata e i flussi torneranno ad aumentare: dalla proiezione una sola ipotesi è giudicata valida per la crescita di Malpensa: una terza pista lunga
Presenti tutti i sindaci del sedime aeroportuale. Il maggior interessato è Piergiulio Gelosa, primo cittadino di Lonate Pozzolo, comune sul cui territorio il Mitre individua l’area per la costruzione della terza pista: «Abbiamo ascoltato con attenzione, ora dovremo valutare e analizzare bene il documento, tutto in inglese – spiega Gelosa -. Certo lo studio è realizzato da un istituto di professionalità indiscutibile e al di sopra delle parti. Ora è la politica che deve dire cosa si vuol fare di questo aeroporto: per il territorio l’impatto è pesante, a Tornavento se decideranno di realizzare la terza pista le conseguenze si faranno sentire. Le uniche costruzioni in atto sono state autorizzate nel 1995, ma si andrebbe a toccare via Gaggio, una strada pedonale, storica e nel Parco del Ticino, dalla quale passano tantissime persone tutto l’anno: anche questo è un prezzo da valutare». Cauti i sindacati: «L’approccio politico è interessante – spiega Ezio Colombo della FIlt Cgil -: in una situazione di crisi si guarda comunque allo sviluppo futuro. Praticamente però si deve andare con i piedi di piombo: bisogna valutare se il traffico realmente aumenterà, se le compagnie aeree annunciate realmente arriveranno e se l’ambiente non subirà conseguenze devastanti. Noi siamo preoccupati per la crisi presente, che tocca tante famiglie indipendentemente da Cai e Alitalia, sulle quali non contiamo più per lo sviluppo futuro: serve liberalizzare i cieli e le rotte, puntando sulle potenzialità di mercato che ci sono e vanno sfruttate». Decisamente negativo il giudizio degli ambientalisti: «Il territorio non è stato considerato – attacca Beppe Balzarini di Unicomal Lombardia -. Lo studio parte dal presupposto che il traffico deve crescere, noi diciamo che non ci stiamo. Ci facciamo una bella risata quando dicono che aumenta tutto, ma non il rumore: questo progetto va a rovinare ancora il Parco del Ticino. I sindaci dovrebbero chiedere ai loro concittadini cosa ne pensano, non essere asserviti alle esigenze di uno scalo fatto male e sviluppato peggio».
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