“Un certo signor G”: Marcorè consegna Gaber alla Storia

Una straordinaria ed equilibratissima interpretazione rende universali le emozioni del grande autore e interprete, facendo sorridere e pensare

E’ difficile essere fedeli al teatro di Giorgio Gaber senza cadere nella tentazione di scimmiottare Giorgio Gaber. Ma Neri Marcorè, che ha cominciato al Teatro Vittorio Gassman di Gallarate il suo lungo weekend varesino (il suo spettacolo “Un certo signor G” si sposterà all’Apollonio da stasera, 30 gennaio, fino al primo febbraio) miracolosamente, ci è riuscito.

E’ stata perciò una scelta felice quella di Dalia Gaberscik, figlia di Giorgio Gaber, e del regista Giorgio Gallione quella di affidare a Marcorè l’antologia “ufficiale” della storia letteraria di Gaber: nessuno come lui sarebbe riuscito a consegnare alla storia l’opera poetica di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, depurandola dalle sovrastrutture anni 70 – e perciò dalle forzate tifoserie contrapposte destra/sinistra in cui era imprigionato suo malgrado.

Gaber infatti è da sempre stato molto più che “La Libertà”, quell’inno che l’ha consegnato a una parte politica (a cui Marcorè ha dovuto un tributo, tra i bis) creando imbarazzo ideologico a un autore che dagli anni settanta in poi ha fustigato tutti senza preconcetti, e che nel suo lavoro si è dedicato soprattutto a indagare e svelare con lucidità e ironia l’animo umano e le sue relazioni affettive, sociali e politiche.

La poetica di Gaber è fatta di metafore esistenziali (Come “la Nave”, uno dei brani interpretati nello spettacolo) di ironiche riflessioni sulla natura umana, sui rapporti uomo donna, sul senso della solidarietà, sulle differenze di genere, con un tocco di psicanalisi e piccole lezioni di educazione civica. E’ qualcosa insomma di universale e che può andare ben oltre la sua persona e quelle atmosfere che chi va a vedere i testi di Gaber inconsciamente ancora cerca.

Il testo di “Un certo signor G” però è molto ben calibrato nel sottolinearlo, e Marcorè ha la straordinaria capacità di bypassare i confronti con il grande interprete riuscendo a rendere astratte anche le intonazioni così tipiche di Gaber. Persino nella voce tonante, i toni bassi che sottolineano la fine delle frasi, i silenzi dopo avere ripetuto una sola parola: li fa, ma non “fa Gaber”. E questo è ciò che significa rendere universale un autore, renderlo vero per sempre, aldilà della sua personalità.  Ed è una qualità straordinaria dell’interprete di “Un certo signor G”, che ha saputo superare una prova delicatissima, con delle qualità difficili da definire: un mix di umiltà, cuore, understatement e straordinario equilibrio interpretativo che gli permette di essere fedele al modello e fedele a sé stesso contemporaneamente.

Probabilmente è frutto di una vera comprensione di ciò che interpeta: tutto il contrario di quello “sfoggio di pensieri senza mai l’ombra di un dolore” che Gaber fustigava ai giornalisti nei primi anni novanta, in un brano (“Manca L’aria”) che fa parte anch’esso dello spettacolo. In “Un certo signor G”, invece, l’aria c’è: grandi boccate di aria fresca per i pensieri.

Ed è per questo che lo spettacolo è altamente consigliato (le tre repliche di Varese hanno ancora biglietti disponibili): non solo per chi Gaber l’ha conosciuto e ancora lo ama, ma anche e soprattutto per chi non ha idea della sua poetica, e persino per chi lo trovava personalmente antipatico. Qui scoprirà perchè quell’attore ha ancora molto da dare, e ancora per molto, alla cultura italiana.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Gennaio 2009
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