Più giovani, povere e meno istruite: così cambia la prostituzione sulla strada

I dati di una ricerca della Caritas: rumene, nigeriane e albanesi, con un età media sotto i 24 anni, in genere nubili, pochissimo scolarizzate e disoccupate.




Le romene prendono il posto delle albanesi. Rimangono costanti le nigeriane. In generale si abbassa l’età media, il livello di istruzione e le condizioni economiche e sociali di provenienza. Mentre il racket trova nuove strategie e canali di reclutamento. Così muta il panorama della prostituzione su strada in Lombardia, fotografato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità cui partecipa Caritas Ambrosiana.

La ricerca si basa su un campione di oltre 2000 persone, per il 94% donne, incontrate nei primi sei mesi del 2008 dagli operatori e volontari delle 13 unità di strada del Coordinamento Tratta e prostituzione Caritas della regione Lombardia.

Tre quarti dei soggetti contattati sulla strada proviene dalla Romania, dalla Nigeria e dall’Albania. In particolare salgono al primo posto le rumene (32,3%), quasi dieci volte più numerose rispetto a solo sette anni fa, epoca cui risale il primo seppure parziale rilevamento. Diminuiscono, invece, le albanesi (11,4%) che scivolano al terzo posto. Mentre restano sostanzialmente stabili le nigeriane (30,7%), che sono il secondo gruppo etnico nel mercato del sesso a pagamento esercitato all’aperto.

«I dati del 2008 confermano alcune costanti che riscontriamo da anni – spiega suor Claudia Biondi, responsabile del settore Area di Bisogno di Caritas Ambrosiana -: le donne che si prostituiscono sono soprattutto nubili, poco istruite, disoccupate o con lavori precari. Dal che si deduce che è la necessità economica a spingerle sulla strada. Ciò – aggiunge suor Claudia – è particolarmente vero per le rumene. Dalla Romania arrivano, infatti, donne più giovani, mediamente di età inferiore ai 24 anni, provenienti da uno stato di deprivazione materiale e culturale tale che sono “disposte” a vendersi pur di accedere, seppure in minima parte, ai nostri standard di consumo».

Dall’indagine risulta che le donne sono più consapevoli rispetto al passato di venire in Italia per prostituirsi. In particolare per le ragazze dell’est, la relazione tra loro e i trafficanti si è modificata nel corso degli anni. Se all’inizio era basata sulla minaccia fisica, con il tempo si è progressivamente trasformata in un rapporto negoziale, nel senso che alle donne viene garantito una sorta di stipendio, minima parte dei proventi della loro attività. Ciò non significa che le donne possono esercitare la prostituzione liberamente. Le strade continuano, infatti, ad essere lottizzate dal racket che decide chi e quando può lavorare. Ma dalle organizzazioni le ragazze ricevono in cambio, come in una sorta di contratto, protezione e assistenza.  Secondo suor Claudia Biondi questo spiega anche perché le albanesi che chiedono aiuto per uscire dalla strada sono diminuite ed oggi non superano il 6%.

Le violenze più atroci colpiscono, invece, le nigeriane, che rappresentano la quasi la totalità delle donne di colore che si prostituisce sulle strade della Lombardia. «Sono ragazze molto giovani, pochissimo scolarizzate, provenienti dai villaggi rurali. Spesso raccontano di avere attraversato il deserto a piedi, di essersi imbarcate in Libia e di essere poi finite nei centri di identificazione di Crotone o Lampedusa dove hanno chiesto asilo politico. Ciò ci fa supporre che il racket abbia mutato strategia e stia cercando di sfruttare i percorsi previsti per i rifugiati politici per introdurre nel nostro Paese donne da avviare alla prostituzione. Probabilmente esistono collegamenti tra le organizzazioni che reclutano le donne nelle campagne nigeriane e organizzano il viaggio, e quelle che poi le contattano nei centri di identificazione italiani per poi portarle sulle strade di Milano e delle altre piazze del sesso a pagamento».

Sono proprio le condizioni di sopraffazione in cui sono costrette a vivere che spingono queste donne a chiedere la protezione dei volontari che le contattano sulla strada.

Non a caso sono nigeriane il 50% circa delle donne ospitate oggi nelle case protette in Lombardia per le donne che decidono di avvalersi del percorso di protezione previsto dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. Il 46% delle nigeriane ha chiesto aiuto dopo un anno. Il 30% entro tre anni. Quelle che rimangono più a lungo sulla strada sono in genere le più svantaggiate e le meno scolarizzate.

Le unità di strada hanno anche rilevato una sostenuta presenza di prostituzione maschile. Tra le 2000 persone incontrate poco meno del 5% era un uomo. Gli uomini prostituti sulla strada provengono da 16 paesi differenti. Oltre la metà è costituta da romeni, il 16% da egiziani il 13% da italiani. Hanno generalmente per clienti altri uomini ed esercitano esclusivamente in città. La prostituzione maschile per le donne, infatti, non viene esercitata sulla strada. Rappresentano un capitolo a parte i trans quasi esclusivamente sudamericani e italiani.

Alle donne vittima di tratta e di violenza sessuale Caritas Ambrosiana ha dedicato un convegno il 18 aprile, ore 9.15-13, nella sala monsignor Bicchierai di via San Bernardino 4 a Milano. Durante l’incontro è stata lanciata la raccolta degli indumenti usati, la campagna diocesana quest’anno intitolata “Mai più vittime” che si svolgerà il 9 maggio, e il cui ricavato servirà a finanziare le case di accoglienza per le donne che vogliono abbandonare la strada o situazioni di sfruttamento e violenza.




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Pubblicato il 18 Aprile 2009
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