Mister Ignis e i vent’anni degli americani a Varese

L'epopea degli elttrodomestici di Cassinetta e Comerio partendo da Giovanni Borghi fino alla Whirlpool

Anche il lago è simile, solo un po’ più grande e profondo. Niente grattacieli, niente city finanziarie ma fabbriche, praterie a perdersi e atmosfere country tutte intorno a Benton Harbor, nel cuore del Michigan, dove nel 1911 la famiglia Upton comincia a produrre simil elettrodomestici, embrione di un business che qualche decennio dopo diventerà globale.
Gli americani della Whirlpool (letteralmente "vortice d’acqua") arrivano in Italia esattamente vent’anni fa. Il loro è uno sbarco quasi in sordina. La città è appena tornata dal mare, si mostra sonnolenta. Non scelgono Londra, non scelgono Parigi o al limite Milano come molte altre corporation bensì Comerio, una specie di Benton Harbor ma sul lago di Varese a poche ore di auto dal mare e ad una manciata di minuti dalla Svizzera. Un lembo serafico di Lombardia che visto da Wall Street, dove la company è quotata, fa quasi tenerezza. Eppure non è certo casuale la scelta di acquartierarsi sotto le Prealpi, anzi, perché dagli uffici tirati su da Giovanni Borghi, "cumenda" italiano, trent’anni prima, gli americani governeranno di lì a poco un business che li porterà a marciare su tutti i mercati d’Europa.
L’headquarter Europe varesino del gigante d’Oltreoceano difatti non è che 20 anni dopo la continuazione dell’avventura imprenditoriale di Giovanni Borghi, il mister Ignis che portò prima i fornelli a gas e poi i frigoriferi nelle case di tutti gli italiani sull’onda del boom del dopoguerra. Terzo di quattro figli di un elettricista milanese, voce da basso, sguardo accigliato da lombardo che non vuole scocciature sempre pronto a sciogliersi in grandi sorrisi da venditore, nel giro di pochi anni il laboratorio di Borghi, costretto dai bombardamenti del ’43 a lasciare Milano per rifugiarsi sul lago di Varese, diventa uno stabilimento moderno con più di 200 operai. Il successo è travolgente.
Nel 1960, Borghi possiede concessionarie in 87 nazioni, governa il 38% delle esportazioni italiane di elettrodomestici e il numero di frigoriferi venduti all’estero è aumentato di 22 volte rispetto a cinque anni prima. È un grandissimo terzista, il cumenda: arriverà a produrre frigoriferi per 98 marchi differenti in tutto il mondo, anche se alla storia passa per quel marchio Ignis, che in latino vuol dire "fuoco" ma che per decenni ha significato bibite ghiacciate e cibi freschi per milioni di italiani e non solo. Poi, negli anni Settanta, l’inevitabile declino del modello padronale spalancherà le porte agli olandesi della Philips.
La Ignis in 25 anni era diventata grande gonfiando i propri muscoli interni, costruendo da zero frigoriferi, lavatrici, congelatori e lavastoviglie mentre i rivali assemblavano e montavano pezzi con impiego di capitali di gran lunga inferiori. Così il terzismo che negli anni del boom si era dimostrato un colpo di genio, con la riduzione dei consumi post crisi petrolifera e "autunno caldo" si rivela una palla al piede, insieme ad un brutto infarto che dopo il 1968 azzopperà Borghi arginandone genio ed esuberanza. Morirà nel settembre del ’75, invelenito e svuotato, mentre il subentro degli olandesi è del ’72. Philips reggerà per 17 anni il timone del regno che era stato di Giovanni Borghi, fino, appunto, allo sbarco americano.
Firmato il contratto coi nuovi padroni, i vecchi dirigenti Ignis in quell’afoso agosto di vent’anni fa non a caso riandranno con la memoria a quel viaggio americano di metà anni Cinquanta quando il patron vola Oltreoceano (lo racconta Gianni Spartà nel suo bel libro Mister Ignis. Giovanni Borghi: un sogno americano nell’Italia del miracolo, Oscar Mondadori 2009) per risolvere il problema dell’isolamento dei frigoriferi, il cosiddetto «fattore k». Era un momento cruciale per la giovane azienda dei Borghi: o si trovava una soluzione per ridurre lo spessore del materiale isolante, o si chiudeva baracca e burattini. Il cumenda lo scova in uno stabilimento di Westinghouse dove la miracolosa schiuma sintetica era in fase di sperimentazione. Fu questa l’idea madre della produzione di massa che fece di Comerio e Cassinetta di Biandronno il cuore di un impero italiano esteso da Mosca al Sud America.

Per questo se con l’America comincia il sogno imprenditoriale di mister Ignis, grazie all’America continua, chiudendo simbolicamente il ciclo dell’epopea. Perché Whirlpool compra ma il piano imprenditoriale del ramo italiano è rimasto da 20 anni su per giù quello di Borghi. Le fabbriche del gruppo non sono state toccate. Negli anni non c’è stato alcuno smantellamento, solo tagli di organici per stare al passo con l’innovazione tecnologica e il ciclo globale. Nello stabilimento di Siena si continuano a produrre i freezer orizzontali, a Trento i congelatori verticali e i frigoriferi, a Napoli le lavatrici a carica frontale, e nel doppio polo varesino (Cassinetta e Comerio) frigoriferi da incasso, forni e piani cottura oltre ad averci installato un centro di sviluppo del caldo globale, uno di design mondiale, e un ufficio tecnologico per la ricerca europea, una sorta di evoluzione del laboratorio Dal Molin in cui Borghi faceva i suoi esperimenti.
Vent’anni dopo, spiega Giuseppe Perucchetti, attuale senior vice president di Whirlpool Europe, «c’è un elemento dei tempi di Borghi che ritorna continuamente in azienda e ha a che fare con la cultura di queste parti, il lavorare sodo». Un understatement tipico padano che ha finito per lombardizzare anche i tanti ragazzoni del Midwest che si sono avvicendati nel management del ramo europeo del colosso del bianco. Una specie di moderna "Graecia capta ferum vittorem cepit". Orazio a Varese.

Insieme ad una spinta continua sull’innovazione. «Sulla ricerca di processo e prodotto investiamo 100 milioni l’anno. Circa l’80% del nostro fatturato, non a caso, – prosegue Perucchetti – viene da nuovi prodotti creati ogni anno. Tanto più oggi la risposta alla crisi non può venire solo dalla contrazione dei costi ma dalla capacità di rimettersi sempre in discussione, aprendo nuove nicchie di mercato». E scommettendo sull’economia verde. «Noi, ad esempio, col nostro progetto Green kitchen puntiamo in 3 anni a ridurre del 70% l’energia elettrica consumata in cucina. Il che significa meno emissioni e risparmi in bolletta. Un’altra volta, è la lezione di Borghi», ammette Perucchetti, depurata di un certo padronale anacronismo: «innovare per produrre meglio e a costi più contenuti». In questo modo Whirlpool può continuare ad investire sull’Italia (8 siti produttivi per 5mila addetti) dove il settore del bianco è strategico (oltre 150mila addetti e un indotto di 1 a 1); e a tenere sotto le Prealpi il proprio headquarter continentale, in controtendenza ad una congiuntura in cui parecchie multinazionali tendono invece a levare le tende anche dalla ricca Lombardia. E nonostante la crisi in Europa nel primo semestre 2009 abbia tagliato del 30% la domanda di elettrodomestici.
L’anno scorso hanno provato a censire le nazionalità presenti nella contea di Comerio, occupati alla corte del colosso Whirlpool: c’è ne sono 27. Varese non è solo Lega nord e localismo incallito.
In fondo, pur essendo profondamente lombardo, già Borghi intuendone le potenzialità, era stato uno dei primi imprenditori ad investire al sud, comprando a Napoli le smalterie De Luca. Correva l’anno 1949. «Noi mandiamo giù i fornelli e le cucine a gas e loro ce le smaltano». Dopo pochi anni nasce la Serit (Smalterie elettriche riunite Ignis tirrenica), in pratica l’avamposto della futura Ignis sud: sede legale a Comerio, officine a Napoli, via Stella polare, quartiere povero dietro il porto. Un’altra volta pioniere, in anticipo sulla Casmez.

Un po’ come nello sport. Perché "Mister Ignis", il milanesone uscito dal popolare quartiere Isola, dove tra le bandiere rosse, il cinema Pastrengo e la corale Verdi sono nati anche Silvio Berlusconi (proprio in via Volturno 34, di fronte alla sede del Pci, strana nemesi), e Fedele Confalonieri, che di Borghi è nientemeno che il nipote, è stato un innovatore del ramo, accompagnando nei loro trionfi gladiatori come i Maspes, i Poblet, i Mazzinghi, i Meneghin e i Duilio Loi. Ciclismo, pugilato, calcio, canottaggio e soprattutto pallacanestro con i trionfi della Ignis, la valanga gialloblu del basket conosciuta in tutto il mondo e pluricampione d’Europa. Borghi, un’altra volta, aveva capito prima di tutti che le sponsorizzazioni sportive portano prestigio e fidelizzazione. E poi che le spese della pubblicità rientrano sempre. Soprattutto se servono a mantenere squadrate e campioni che giocano, divertono e vincono, rendendo insieme più popolari i propri prodotti.
Dunque locale e globale, il dialetto in azienda e la cultura d’impresa yankeee che si fondono e si perpetuano nella terra della Lega. L’innovazione e il gusto dell’intrapresa in nuovi mercati come leva ultima per ripartire dopo una crisi da incubo. La valenza immateriale ed estetica dello sport abbinato all’industria. Il sud che resta centrale per il proprio business oggi nei piani degli americani di Whirlpool, ieri in quelli di Borghi. C’è tutto questo vent’anni dopo lo sbarco dei marziani Usa a Varese. Una specie di talento postumo di Mister Ignis che, liofilizzato, continua a perpetuarsi e influenzare le stanze di comando di Whirlpool. Alla vigilia di un autunno difficile, con molte aziende incartate davanti al bivio chiudere o riaprire, la vicenda di un cumenda coi piedi a Varese e il cuore a New York, è certamente una storia da tenere a mente.

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Pubblicato il 21 Settembre 2009
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