Un pirata fantasma si aggira per Casa Italia
Si chiama Filiberto, vive in Germania ed è il sosia di Marco Pantani. Era nel ritiro degli azzurri per la conferenza stampa di presentazione della squadra
Un fantasma si aggira per Casa Italia, ritiro della nazionale italiana di ciclismo a Gazzada Schianno. Bandana gialla, orecchino e sguardo da pirata. Spesso gli chiedono di posare per una fotografia, e lui si concede. A Stoccarda gli si è avvicinato un bambino tedesco che, dopo averlo fissato con una certa insistenza, forse perché convinto che fosse un fantasma, ha trovato il coraggio di parlargli: «Du schein wie Marco Pantani» che, tradotto, significa: «Tu sembri proprio Marco Pantani».
È vero, Filiberto Turchi assomiglia molto al pirata di Cesenatico: il pizzetto ben disegnato, il naso dritto, lo zigomo alto e gli occhi piccoli un po’ orientaleggianti. I due si sono persino conosciuti nel 1998 a Norimberga. «Quell’anno era venuto nella gelateria di Federico Tempesti, concittadino e amico della famiglia Pantani – racconta Filiberto –. Aveva appena vinto il Giro d’Italia e io gli chiesi se mi dava la sella della sua bici. Lui non battè ciglio e me la regalò. La uso ancora oggi».
È vero, Filiberto Turchi assomiglia molto al pirata di Cesenatico: il pizzetto ben disegnato, il naso dritto, lo zigomo alto e gli occhi piccoli un po’ orientaleggianti. I due si sono persino conosciuti nel 1998 a Norimberga. «Quell’anno era venuto nella gelateria di Federico Tempesti, concittadino e amico della famiglia Pantani – racconta Filiberto –. Aveva appena vinto il Giro d’Italia e io gli chiesi se mi dava la sella della sua bici. Lui non battè ciglio e me la regalò. La uso ancora oggi».
Il sosia di Pantani ha 50 anni ed è originario di Novara. Vive a Gefrees (Bayreuth) in Germania con la moglie tedesca, conosciuta in Italia molto tempo prima durante una vacanza. Lei sapendo della sua passione smisurata per il ciclismo, gli ha regalato biglietto e viaggio per assistere al mondiale di Mendrisio. Lui non manca mai un appuntamento e appena puo’, con la sua bandana, segue la squadra italiana. In Germania gli capita spesso di trovare appassionati che lo scambiano per l’atleta romagnolo, come quel bambino tanti anni fa a Stoccarda. Nell’ambiente non passa inosservato. A Casa Italia saluta giornalisti e tecnici senza imbarazzo, anche se sa benissimo che quella bandana è ancora un simbolo che fa battere il cuore a molti tifosi e rappresenta una ferita aperta nel mondo del ciclismo.
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