Accam, soci privati nel futuro dell’inceneritore?

L'assessore Castiglioni frena: "Non c'è nessuna trattativa". Il PD: "Prima la convenzione con Busto e il revamping, poi ogni altra scelta"

Della questione dell’inceneritore Accam e del suo oneroso e complesso rilancio tecnologico (revamping), necessario a ridurne l’impatto ambientale, ma soprattuto a prolungarne la vita, si dibatte molto negli ultimi giorni. Le questioni sono sostanziali: si parla di soldi, e tanti. Da spendere, per la società, o da tenere bloccati nei bilanci comunali. Da Palazzo Gilardoni filtrano intanto voci su un possibile futuro ingresso di privati all’interno del capitale di Accam. L’assessore Franco Castiglioni, che sta seguendo da vicino la vicenda, assicura tuttavia che al momento di trattative con privati proprio non ce n’è: e quanto alle perplessità e differenze tra i soci, più che con le fideiussioni richieste dalle banche per coprire il costo dell’intervento di revamping, avrebbero a che fare con la necessità di concordare sulle tariffe di smaltimento. Un piano tariffario «ancora non c’é», ricorda, e la tariffa attuale sarebbe «del 40% inferiore alla media regionale». Nel tempo aumenterà per forza di cose, gradualmente. La voce di una privatizzazione parziale di Accam, per ora remota, potrebbe ridursi ad un escamotage utile per rassicurare i Comuni soci. L’ultima assemblea dei 27 Comuni si era infatti conclusa su un nulla di fatto.

Con la legge sui pubblici servizi appena approvata in quel di Roma, oltre a scatenarsi la "battaglia" dell’acqua si scatenerebbe anche quella della "monnezza". Anche a Busto Arsizio.
Dal 31 dicembre 2010, per effetto del decreto Ronchi (qui il testo) e in particolare dell’art.15, vi sarà l’obbligo di mandare a gara d’appalto i servizi pubblici, proibendo fra l’altro dopo tale data, salvo circostanze "che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato" (sì, ma chi decide quali sono?), gli affidamenti cosiddetti in house – con buona pace, tra l’altro, anche della patrimoniale Agesp Servizi. È un fatto che la normativa preveda che una partecipazione dei privati nella gestione dei servizi pubblici, una volta decisa, non possa essere inferiore al 40% del capitale. Un primo esempio di partecipazione mista pubblico-privata in questa esatta misura si è vista in città con la defunta Agesp Trasporti, poi integralmente acquisita dal socio privato. Il paragone è forse improprio, i settori e le circostanze di partenza piuttosto diversi.

La sola idea del coinvolgimento di privati mette sul chi vive i vari componenti del fronte "No Accam". Già in precedenza i Verdi attaccavano Accam accusandola di non essere stata capace di attivare un piano finanziario credibile, e le province di Varese e Milano per essersi ben guardate dal garantire a loro volta i mutui – ma si sa che le loro risorse non sono enormi. La richiesta più pressante però è quella di chiarezza, e viene dal PD bustocco tramite il capogruppo Valerio Mariani, scettico di fronte all’idea di privati nella compagine di Accam. «Chi mai entrerebbe ora in Accam? Va prima definita la convenzione con Busto, nero su bianco, solo dopo Accam potrà fare qualsiasi scelta ulteriore. E a monte di tutto c’è la questione del finanziamento del revamping che è dirimente. Poi, prima di far entrare dei privati nella gestione rifiuti, visti gli esempi di certe altre parti d’Italia, andrei comunque con i piedi di piombo. Ci sono problemi politici e vanno gestiti in modo da non lasciare spazio al rischio di speculazioni».
Sempre per il PD, Erica D’Adda è a sua volta perplessa: trova che la legge non sia chiara negli effetti che potrà avere. «Approfondiremo» commenta, «ma la questione è a rischio: la legge sembra mal fatta e lascia oltretutto troppi buchi (come la mancata previsione delle autorità di controllo). Ci sembra da rivedere perchè potrebbe creare disastri, e non vorrei che vari Comuni si lasciassero allettare dalla prospettiva di farsi "sgravare" da un privato di parte dei loro carichi. Ancora una volta da Roma non si comprendono gli effetti locali di quanto si dispone: si lascia alle maggioranze di turno, quali che siano, la facoltà di compiere scelte che graveranno a medio-lungo termine sulle amministrazioni a venire. Serve un confronto più attento tra governo ed enti locali, magari attraverso l’associazione nazionale dei Comuni».

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Pubblicato il 23 Novembre 2009
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