Al funerale di mio suocero la banda ci scaldò il cuore
Suonavano l'andante con brio grazie alla grappa bevuta per non congelarsi e anche le campane resero meno malinconica quella giornata
Ha sorpreso non pochi lettori l’iniziativa del deputato Reguzzoni a tutela delle bande musicali, ma non si può dimenticare che nel nostro Paese esse rappresentano una realtà culturale e sociale certamente non trascurabile.
Ci sono infatti regioni che vantano una tradizione bandistica consolidata, soprattutto nei centri piccoli, e che non conosce crisi grazie a un fenomeno singolare: l’approdo di preparatissime ragazze a clarini, sassofoni, trombe varie e pure alle percussioni.
Ho conoscenza diretta di bande musicali che nel Reggiano sono fattore aggregante perché partecipano della vita della comunità, ne sottolineano i momenti di festa, le ricorrenze, i riti, anche quelli dell’ ultimo congedo. Le bande sono espressione genuina, compiuta, delle sensibilità del territorio e delle sue genti. Per esempio hanno un programma mirato: per i funerali civili, religiosi, o di militanti antifascisti, di ieri e di oggi, ci sono musiche adeguate alle necessità.
Ma non si creda che i funerali religiosi abbiano tutti la consueta compostezza intrisa di malinconia. Ricordo quelli di mio suocero, Primo Boni, 98 anni . Era il dicembre del 2001, dalle pianure siberiane era arrivato il gelido buran che aveva trasformato in piste ghiacciate tutte le strade dell’ Appennino reggiano.
Il corteo funebre si snodava lentissimo, il passo di tutti era prudente, preoccupato, le solenni marce suonate dalla banda incupivano, se possibile, ancora di più l’atmosfera. Il tutto sino all’ arrivo nella piazza principale del paese dove gli ottoni di colpo si scatenarono con Lehar, Chopin e autori vari di operette. Ci scappò pure un valzerino. La salita alla chiesa ritornò a essere musicalmente seria, ma al termine del rito scoppiò un finimondo di campane, cioè il concerto di Pasqua. Il vecchio cristiano Primo lo aveva chiesto espressamente “ perché la fine della vita terrena era l’inizio di un’altra meno complicata”
Sullo slancio dello scampanio, puntando verso il cimitero, i musici interpretarono un singolare “andante con brio” che poi avrebbe avuto una spiegazione: a causa del freddo intenso gli ottoni rischiavano di incepparsi e occorreva dunque un antigelo individuato nella grappa, eccellente, trovata in canonica mentre il parroco celebrava.
Ottoni sbloccati, un po’ più di calore nelle vene dei suonatori ed ecco sciorinato un programma imperniato sulle canzoni di Iva Zanicchi, di casa da quelle parti.
Poiché nonno Primo aveva fatto la sua parte nella seconda guerra mondiale, l’inno del Piave e il silenzio fuori ordinanza completarono la fatica della banda. E tutto il paese fu soddisfatto perché Primo un addio così se lo meritava.
In gioventù egli era stato suonatore nella banda, suo nipote Roberto ne aveva seguito l’esempio. Sospetto che i due abbiano concordato, oltre al concerto di campane, anche Chopin e la Zanicchi.
Vista da Varese la presenza della banda a un funerale sembra largamente mitigare la freddezza dei congedi bosini a cento all’ora: appuntamento davanti alla chiesa, trenta minuti di rito o poco più, sepoltura solo per gli intimi, tutti gli altri subito a lavorare o a casa a farsi travolgere dal quotidiano vivere di corsa, spesso sottolineato dalle musiche nevrotiche di tv e radio.
Vuoi mettere “Tu che mi hai preso il cuor” o “La riva bianca, la riva nera”, magari al profumo di grappa?
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