“Duemila anni di storia ridotti a puro fatto privato”
Il vescovo e vicario episcopale Luigi Stucchi, sulla polemica in corso dopo la sentenza della Corte europea
Ci sono scelte, decisioni, proposte e perfino sentenze che vengono sostenute in nome della laicità, ma che di fatto e di diritto negano alla radice la laicità stessa. La sentenza resa nota in questi giorni che intende togliere i crocifissi dalle aule scolastiche è proprio di questo tipo e risponde di fatto e di diritto ad una logica ideologica.
Sì, perché laicità corretta e positiva significa riconoscimento e rispetto per ogni identità personale e di popolo, in ordine alle scelte fondamentali della vita e alle esperienze più profonde della persona umana, tanto più quanto più tutto questo costituisce un patrimonio storicamente, geograficamente, culturalmente, socialmente, eticamente religiosamente presente e operante, comunque qualificato e motivato grazie ad una sapiente e capillare capacità educativa che ha formato mentalità e costumi di vita.
Una laicità che censura o va contro tutto questo, impedendo che simboli e segni precisi di tale patrimonio, come di fatto è il Crocifisso, va contro se stessa, progetta un’operazione di per sé totalizzante, contraria perciò alla stessa ricchezza e qualità della civile convivenza.
La vanifica e la appiattisce, svuota la storia vissuta e sofferta, riduce fino ad annullare o compromette indebitamente la possibilità di trasmettere valori di civiltà, il cui fondamento è religioso perché scritto nel cuore umano.
E’ come dire: duemila anni di storia, misurati in rapporto a Cristo, vengono ridotti a puro fatto privato e si trovano ad essere guardati e misurati con un metro diverso.
E’ un falso storico, oltre che un oltraggio, tanto sottile quanto violento culturalmente, a milioni di persone.
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