L’addio di Adamoli: “Non mi candido in Regione”

Nonostante la biografia politica da cavallo di razza e i sondaggi favorevoli il consigliere regionale del Pd che ha deciso di fare spazio ai giovani

Giuseppe Adamoli ha annunciato che non si candiderà più alla Regione Lombardia. Una scelta di onestà intellettuale, dopo dieci anni e due mandati, conclusi da presidente della commissione statuto, «uno dei risultati che considero un successo nella mia carriera politica». Adamoli resterà a disposizione del suo partito, il Pd, non uscirà dalla vita politica ma chiarisce che «la vita è fatta di fasi e non è più il tempo di altre candidature». Si riferisce alle voci su una possibile sua investitura come sfidante di Formigoni in Lombardia, una ipotesi che però il politico reputa remota, così come non c’è possibilità che si candidi in altre province diverse da Varese, o nel listino del candidato presidente. Adamoli lascia con un pizzico di nostalgia e con decisione imbocca una strada nuova. «Mi sono sempre identificato con la Lombardia» dice, una frase che a ben guardare vale una biografia: 10 anni da consigliere della democrazia cristiana nella cosiddetta prima repubblica fino a diventare alla vigilia del 1992 il capogruppo Dc in consiglio regionale, con già in tasca una probabile candidatura a presidente. L’errore giudiziario che lo coinvolse e da cui uscì con l’onore restituito, bloccò una carriera lampo subito dopo il suo «capolavoro politico», l’accordo con il Pci in consiglio. Una carriera iniziata a 28 anni come sindaco di Vedano Olona, ma che vide fin dai 18 anni i germi del politico di razza: «Facevo il tornitore in fabbrica – racconta – ma già andavo da una professoressa per migliorare la mia sintassi, perché avevo capito che dovevo irrobustire la mia capacità di espressione, per coltivare il mio impegno sociale e politico». Dalla gavetta in fabbrica, alle campagne elettorali nel Varesotto, Adamoli si è imposto come un politico di primo livello. «Alcuni mi rimproverano di non aver mai scelto il parlamento, ma io ho sempre pensato che in Regione si potesse incidere meglio sulla vita del mio territorio». Nel 2006 non ha voluto diventare senatore o deputato a ha continuato il lavoro nella commissione statuto, ma oggi è anche tempo di bilanci: «Credo di aver raggiunto, nella mia esperienza politica, quattro grandi obiettivi. Il piano regolatore generale di Malpensa che inizialmente fu avversato dagli ambientalisti e poi invece considerato una pietra miliare della difesa di quel territorio. Il finanziamento dell’ospedale di Varese, 200 miliardi di lire, ottenuto anche contro il parere dell’onnipotente presidente Guzzetti che allora li voleva destinare a Como. E poi la “legge Adamoli” sull’urbanistica, che ancora oggi viene considerata come una svolta tra vecchia e nuova normativa urbanistica: fu avversata da destra e sinistra e poi invece in molti dovettero ammettere che era una buona legge».
Ora, il consigliere regionale del Pd, si aspetta di continuare a essere un militante del partito a cui dà qualche consiglio per le regionali. Primo, creare una lista attrattiva anche all’esterno dei bunker di partito, per drenare voti che provengano da altre aree. Il politico rivendica la coerenza di aver sempre ottenuto preferenze slegate dal partito e dovuto a un lavoro di «lievito nel territorio», come si diceva una volta, lo stesso che vorrebbe fosse perseguita dai democratici. Forse, a Roma,  sarà nella commissione di riforma dello statuto nazionale. «So che alcuni sondaggi mi indicano come uno dei politici più graditi nel Varesotto. Mi fa piacere ma non voglio entrare nella spirale del dibattito sulle candidature. Meglio lasciare ora e in futuro si vedrà, di certo non farò il pensionato».

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Pubblicato il 26 Novembre 2009
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