“Mangiare sushi a Varese? Non è solo una scelta di moda”
Dietro alla nascita dei molti ristoranti giapponesi ci sono scelte coraggiose di giovani imprenditori, spesso cinesi. Come Lia, titolare dell'Haru di via Cavour
Oggi, se un varesino vuole mangiare sushi, sa che può andare in via Cavour, in via Veratti oppure in via Medaglie d’Oro. Eppure, solo tre anni fa, trovare un ristorante per soddisfare il desiderio di cucina giapponese, non era affatto così semplice. I locali varesini erano pochissimi: uno a Cocquio, oppure a Milano. Ma non è stata solo la diffusione di una moda a far cambiare le cose. La scelta di trasformare un ristorante cinese in uno giapponese, ad esempio, è prima di tutto coraggiosa, vale a dire, ripartire da zero: imparare una nuova tradizione, affrontare il rischio, rifare pubblicità, cercare una nuova clientela. Un cammino che a Varese una famiglia cinese ha iniziato il 12 dicembre del 2007. «Abbiamo chiuso il Primavera che era gestito dai miei genitori e lo abbiamo trasformato in Haru (che in giapponese ha lo stesso significato, ndr) – racconta la giovane titolare, Lia -. Mi ricordo che non è stata una scelta facile. La cucina giapponese a Milano era già conosciuta e diffusa mentre a Varese, ancora no. Non eravamo certi di riuscire e non sapevamo se la nostra clientela avrebbe apprezzato o meno». Invece la trasformazione è piaciuta, sia per la qualità dei prodotti che per il gusto con il quale il locale è stato arredato. E chi dice che sushi e sashimi sono migliori se cucinati da veri giapponesi si sbaglia: «Abbiamo fatto dei corsi – continua Lia – e abbiamo un “sushimen”, l’addetto al pesce, specializzato nel riconoscere prodotti di qualità. Ci riforniamo dal mercato di Milano e usiamo prodotti scelti». Oggi i ristoranti giapponesi gestiti da cinesi sono molti, come tutti gli imprenditori, queste persone devono affrontare le difficoltà del mestiere come ad esempio trovare il denaro per cominciare: dal punto di vista economico le famiglie cinesi solitamente si sostengono a vicenda in particolare quando è il momento di iniziare una nuova attività. È una rete diversa rispetto a quella italiana ma che offre delle opportunità di crescita e d’affari anche per i più giovani.
Qualcuno guarda con sospetto a tutto ciò, si alimentano i luoghi comuni e si pensa di avere a che fare con una comunità chiusa: «I cinesi non sono chiusi – conclude Lia – forse c’è un po’ di difficoltà a integrarsi. Le nuove generazioni poi si stanno integrando, sposano italiani, si divertono insieme ad amici italiani. Per quanto riguarda i primi immigrati arrivati dalla Cina dobbiamo riconoscere che l’ostacolo della lingua è stato molto duro da superare». E il futuro? «Tra qualche anno, l’integrazione sarà più naturale, saranno i nuovi nati a cambiare le cose».
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