Resteremo la cenerentola

La diffusione di Internet nel nostro paese cresce, ma ci lascia comunque nelle zone basse delle classifiche. Un problema serio per tutto il sistema paese che perde tante opportunità

"Dov’è che sbagliamo?" La domanda di Riccardo Luna sui problemi della diffusione di Internet nel nostro paese è coraggiosa e centra bene la questione.
Lo Iab forum ha l’ambizione di uscire dallo stretto ambito della comunicazione e della pubblicità. Chi lo organizza sa bene che non è ancora possibile prescindere dalle analisi sull’uso della rete. Lo sa bene, ma poi cade nel classico degli errori tipici di alcuni ambienti italiani. C’è troppa autoreferenzialità. Ci si parla addosso e da qualche tempo a questa parte si è anche smesso di avere visioni e si vorrebbe già tutto normalizzato. Questo accade nel campo della comunicazione, della pubblicità e ancora di più in quello giornalistico.
Bene fa Repubblica a far notare che all’iniziativa di Milano più che la politica era assente chi produce i contenuti rilevanti della rete, ovvero gli editori. Ma questo non basta, perché poi, anche quando questi sono presenti, si dimentica completamente una parte rilevante di mondo.
La potenza del web nella vita quotidiana delle persone si sta dimostrando tale sul terreno del fare e vivere la comunità. E questo su due diversi piani: da una parte le passioni e dall’altro il territorio. Le prime trovano oggi sbocchi inimmaginabili fino a poco tempo fà. Basti pensare ai social network come Flickr e Youtube dove gli amanti della fotografia e dei video pubblicano milioni di materiali e abbattono ogni distanza fisica, economica, sociale. Questi danno subito l’idea del globale.
Il territorio invece rappresenta bene il senso della comunità ed è su questo piano che si hanno le esperienze più interessanti. Il nostro giornale ne è un esempio ormai riconosciuto da tutti coloro che lo conoscono e lo frequentano.
Di questo secondo aspetto, legato al locale, non se ne interessa nessuno e rappresenta invece la frontiera del cambiamento molto più di quanto non lo sia tutto il resto. La tecnologia diventa così un ausilio potentissimo, ma proprio qui si evidenzia però l’altro grande limite delle analisi fatte allo Iab.
Ma è mai possibile che nessuno legga le ricerche e i dati sulla condizione del nostro paese? Se noi guardiamo ad alcuni indicatori troviamo subito un’altra possibile risposta alla domanda su dove abbiamo sbagliato.
Il nostro paese ha una scolarità tra le più basse non solo dei paesi dell’Ocse, ma anche di tanti di quelli cosidetti emergenti. Abbiamo un numero di lettori bassissimo per quanto riguarda la stampa, catastrofico per i libri. Indicatori che non migliorano affatto se guardiamo a tutto il comparto culturale. Non tener conto di questi dati vuol dire sbagliare le priorità su cui muoversi, perché a tutto questo si sommano poi altri problemi clasici quali i costi, i problemi della connettività, la parziale difficoltà di un’informatica vissuta ancora come inaccessibile.
Se a questo sommiamo poi un linguaggio tecnico che allontana e non certo avvicina il gioco è fatto.
Già il termine "digital divide" fa capire la distanza. Se i cittadini non ne percepiscono il problema, risolverlo diventa una questione di "eletti" o addetti ai lavori. Altri paesi non la pensano così, e sostengono che la connettività alla rete è come quella dell’energia elettrica o del gas, ma se andiamo a vedere come vanno le cose da loro si capisce bene il perché. In Finlandia i diplomati sono il 108% dei giovani in quell’età perché molti prendono due diversi ttoli. Da noi non arriviamo al 60%.
La cosa peggiora ancora di più se guardiamo agli aspetti tecnologici. La rete fisica in Italia è di fatto nelle mani di Telecom e altro che investimenti nelle reti di nuove generazione. L’Italia sta perdendo progressivamente potere a vantaggio dei partner spagnoli. E così via. Allora la questione di un contributo economico più o meno rilevante da parte del Governo diventa davvero la cosa meno prioritaria e infatti non arriva. Ma questo è una conseguenza del disinteresse per la formazione e per la cultura. Se non ripartiamo da qui si fanno soo chiacchiere, o business per qualcuno, ma riguarderà sempre una piccola fetta del paese e non il suo benessere generale.
E la questioen riguarda molto noi giornalisti. Michele Mezza in un bell’intervento di un mese fa disse che Internet non è un media, ma un alfabeto. Non sembra molto condiviso questo ragionamento anche perché ridimensiona molti poteri e chi li detiene non è mica tanto interessato alla materia.

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Pubblicato il 04 Novembre 2009
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