I libri del 2009: storie di vita, morte e amore

Altre recensioni per arricchire la vostra biblioteca grazie ai nostri lettori che non mancano mai di portare il loro contributo

Continuano i suggerimenti dei nostri lettori tra i libri letti nel 2009. Oltre alle recensioni qui di seguito riportate leggi anche le recensioni di:

Gesù di Nazareth e L’altra donna del re

I sogni di mio padre
Sardinia Blues e Non lasciarmi

"La storia di un matrimonio"
di Sean Andrew Greer

Il consiglio di Rita Gaviraghi da Casorate Sempione

A proposito della possibilità che abbiamo di recensire qualche buon libro letto nel 2009…io, che di libri ne leggo un centinaio l’anno, ma che nel 2009 non ho raggiunto, per così dire, il massimo del risultato, ho letto e riletto la Morante, Pavese, la Maraini, Vassalli, la Bronte, la Wolf e la Woolf, e tanti altri ancora. Segnalo, che mi ha davvero catturato "La storia di un matrimonio", di Sean Andrew Greer, praticamente la vivisezione di una relazione a due, che si complica fino a scoprire che spesso viviamo accanto ad uno sconosciuto. Mentre ero in vacanza, mi sono gustata, ambientato in parte su una bell’isola greca, "Il cappotto del turco" della Comencini: un confronto tra la vita e lo stile di due sorelle, che più diverse non si può, ma che hanno condiviso tutto, nel bene e nel male. Approfitto per augurare buona lettura a tutti, nel nuovo anno!


"Domani nella battaglia pensa a me"
Javier Marias

Suggerito da Livia Cornaggia
 

Questa è apparentemente la storia di Victor e di Marta. Di una persona viva e di una persona morta che si sono ‘sfiorate’ per un tempo minuscolo, ma determinante. Ma è anche la storia delle loro vite che si intrecciano, si sovrappongono, si imbrogliano, la storia di altre persone che a loro sono collegate che per loro tramite, si incontrano, si ’toccano’ per un attimo e si allontanano di nuovo. Ma ancora di più è la storia della morte, di come la morte sia, di come ‘agisca’ profondamente nel vivere, di quello che faccia e produca nel presente di chi vive, nella memoria del passato di chi ricorda, negli oggetti che portano l’impronta di quello che non è più. Ed è anche la storia del rapporto tra il presente e il passato, dell’impossibilità di sciogliere questo nodo, del trascinarsi e dilagare del passato nel presente, senza soluzione di continuità, senza possibilità di scampo. Ma è pure la storia della contrapposizione-sovrapposizione tra essere e sembrare, del gioco di specchi che percorre ogni tassello di un’esistenza in una ricerca di unità, dell’impossibilità di far convivere quello che è e quello che potrebbe essere, quello che siamo con quello che vorremmo essere. Ed è infine la storia dello strazio per le occasioni mancate, del dolore per tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato, dello sguardo dalla fine che rivela la pena per tutto ciò che non abbiamo detto, fatto, mostrato, soprattutto mostrato. Ma più di tutto, questo libro è un gioiello, una miracolo di intensità, di profondità, di sottigliezza nel sondare, nello scavare, nel violare, uomini, cose, sentimenti, situazioni. E’ un libro bellissimo, senza pudore, perfettamente offerto e perfettamente arreso, nel quale tutto emerge, tutto viene portato alla superficie, tutto viene messo a nudo come sotto una luce troppo bianca e troppo intensa.

"Ultimo parallelo"
di Filippo Tuena

Suggerito da Livia Cornaggia

Questo libro è abbagliante della luce dell’Antartide, bianchissima e inclemente, crudele nella sua assenza di toni. E’ un libro senza sfumature, terribile, rigoroso e impietoso come solo le tragedie greche sanno essere. E delle tragedie greche ha anche il Coro, voce narrante che osserva e partecipa, pure nel suo essere ‘fuori’ dall’intrecciarsi vero del dramma. In questo libro il Coro parla con una voce sola, ma ha lo stesso tremendo rigore dei Cori di Eschilo e la tragedia che racconta ha contorni universali. Parla di una spedizione fallita, destinata a fallire, piegata da un destino che ha i contorni del fato, crudele ed ingiusto. Ma parla anche di una spedizione fallita grazie a se stessa e forse soprattutto per il proprio essere fine a se stessa. Scott insegue un sogno, il sogno di poter sognare, il sogno di sfidare e vincere gli elementi, il sogno di lasciare un’indelebile, imperitura traccia di sé. Incarna il finire di un’epoca, si è detto, il tramonto di ideali che non sarebbe più stato possibile ritrovare. Io non credo. Non credo sia questo che Scott ha inseguito in una terra senza perdono e nemmeno credo che sia questo che Tuena ha voluto raccontare. Credo invece all’emozione che esce da queste pagine, allo struggimento che le attraversa mentre raccontano di un cammino e di un destino già segnati. Credo allo strazio che gronda da queste pagine, al dolore che segue il passo di uomini che, se sono stati capaci di far sorgere dai ghiacci le divinità “…con il ritorno degli esploratori, ritornano le divinità. Esse appariranno quando appariranno gli uomini. Sorgeranno dai ghiacci quando gli uomini sorgeranno dal mare.” , hanno poi perso il senso del ritorno: “Ed è questa parola ritorno che lo turba perché improvvisamente si è sentito attratto in quella direzione mentale: ritornare da cosa, verso dove?”. Tuena racconta di uomini che hanno ‘perso la strada’, che hanno dimenticato da dove e verso dove stiano andando. Andata e ritorno si sovrappongono, si confondono in un percorso cirolare che parla della straziata ricerca di un senso e di una direzione, di un segno che indichi per sempre il punto di arrivo e accompagni il tragitto che a questo punto conduce. Il quadro sarebbe di puro dolore, di assoluta devastazione, se non fosse per quel frammento mutuato da Tennyson che illumina di pacificata speranza la parte più straziata della narrazione:

“…noi siamo ciò che siamo; un’eguale tempra di eroici cuori,
fiaccata dal tempo e dal fato, ma forte nella volontà
per combattere, cercare, trovare e per non cedere.”

Ecco, per non cedere. A dispetto delle divinità avverse e del fato, a dispetto persino di noi stessi.

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Pubblicato il 30 Dicembre 2009
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