Fondi alla ricerca dallo scudo fiscale? Bignami ci scommette un Nobel

Il celebre astrofisico lancia una provocazione sulle pagine di VareseNews: investendo parte dei fondi dello scudo in innovazione, l'Italia potrebbe primeggiare e guardare al futuro. Anche a Varese, per il settore aerospaziale

giovanni bignami scudo fiscaleInvestire una parte dei fondi derivati dallo scudo fiscale nella ricerca. Questa è la proposta lanciata dalle pagine del Corriere della Sera da uno dei maggiori esponenti del mondo della scienza, l’astrofisico Giovanni Bignami: docente allo Iuss di Pavia, accademico dei Lincei, accademico di Francia e Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana fino ad agosto 2008. 

In fondo lo scudo fiscale ha portato molto alle casse dello Stato: al 1° dicembre l’Agenzia delle Entrate prevedeva almeno 3,7 miliardi di introiti, ne sono rientrati 4,7 circa. Proprio questo surplus farebbe gola ai ricercatori italiani. Bignami ha preso a cuore questa proposta, ed oggi rivolge l’appello anche ai lettori di VareseNews, considerando anche che proprio Varese potrebbe attirare molte attenzioni dal punto di vista degli investimenti spaziali. 

Giovanni Bignami, in cosa consiste esattamente la sua proposta?

«Ovviamente non possiamo chiedere tutti i fondi derivati dallo scudo fiscale, perché c’era già un piano di investimento. Tuttavia è noto che gli introiti sono stati superiori alle previsioni. È su questi introiti che io propongo un investimento in ricerca. Si tratta di un surplus molto piccolo per i bisogni generali del paese, ma che potrebbe essere rivoluzionario per questo settore».

Qual è lo stato degli investimenti italiani in ricerca, fino ad oggi?

«Attualmente abbiamo 18 istituti governati dal Ministero dell’Università e della Ricerca, la somma di tutti i fondi devoluti dallo Stato è di circa 1,6 miliardi. L’anno scorso era di 1,8 miliardi, siamo quindi di fronte ad una flessione gravissima degli investimenti».

Potrebbe essere colpa della crisi, in Europa le cose come vanno?

«Non va così, anzi accade il contrario: Sarkozy ha appena investito 19 miliardi nella ricerca e nell’istruzione. La Merkel ha investito 8 miliardi nella ricerca fondamentale. Conosco molto bene gli esempi europei e posso dire con certezza che la situazione in Italia è diversa, purtroppo». 

Quale convenienza avrebbe il Paese investendo in ricerca?

«L’aggiunta di un miliardo alla ricerca italiana potrebbe cambiare davvero le cose, ormai questo è noto. Posso però lanciare una provocazione: la comunità scientifica, con un miliardo in più, potrebbe garantire un premio Nobel entro dieci anni». 

Come è possibile?

«In fondo la gara al premio Nobel può essere paragonata alle Olimpiadi: più atleti avremo in gara, maggiori saranno le probabilità di vittoria. Attualmente il CNR, che è il centro di ricerca italiano più numeroso, ha circa 5.000 ricercatori. I Francesi, al CNRS, ne hanno quattro volte di più. Ma non basta: il CNRS Francese gode di un investimento di 3,3 miliardi di euro contro i 500 milioni del CNR, non stupisce quindi che il CNRS abbia portato 16 premi Nobel, mentre il CNR non ne ha ancora ricevuti. Più concretamente posso dire che ci sono dei filoni di ricerca davvero promettenti, dove questi fondi potrebbero essere impiegati con grandi risultati».

Può farci qualche esempio concreto di investimento?

«A Varese c’è un forte investimento privato nella ricerca aersopaziale (proprio ieri è stato presentato il distretto aerospaziale lombardo, ndr). Se il paese fosse in grado di affiancare a queste industrie un centro di ricerca pubblico, per lo sviluppo innovativo e dei brevetti, potremmo dare un grande slancio al settore. Penso anche, per parlare di quest’area geografica, all’Istituto Donegani di Novara, un vero e proprio polo di eccellenza della chimica».

L’investimento in ricerca ha un ritorno economico sicuro?

«Non solo, ma posso dire che senza l’investimento in ricerca non ci sarà affatto un ritorno economico. Ad oggi i settori di eccellenza italiani sono quelli del tessile, della moda, o comunque dei settori tradizionali, che vanno giustamente promossi come made in Italy. Questo però non basta: se non avremo investimenti in ricerca, il nostro futuro non sarà all’altezza della nostra tradizione. Ci sono studi precisi, non sono io a dirlo: ogni singolo euro investito in ricerca, ne riporta dai 3 ai 5».

La sua proposta per lo scudo fiscale ha già ricevuto qualche riscontro dal Governo?

«Non c’è stata una risposta formale ma sono certo che il messaggio sia stato recepito. Ora dobbiamo sperare che porti degli effetti».

Spesso si dice che il problema della ricerca è che non porta voti alle elezioni…

«Io ho un minimo di esperienza nella politica, ma soprattutto sono conosciuto dalle persone come divulgatore scientifico. Posso dire con certezza che c’è una fortissima attenzione delle persone su questi temi, non solo per la ricerca applicata ma anche per quella astratta. Se ci fosse la capacità di comunicare la ricerca nel modo giusto, allora gli investimenti in ricerca porterebbero anche dei voti».

A questo punto, vista la provocazione del Nobel, dobbiamo concludere una scommessa. Quali sono i settori più "papabili"?

«La fisica qui è il settore più forte, e non deve essere recepita come un fattore astratto. Guardi alla scoperta del laser: quando 50 anni fa portò al Nobel sembrava una ricerca astrusa, incomprensibile. Oggi le persone non potrebbero vivere senza questa tecnologia, perché è alla base dei lettori CD e di tanti altri strumenti che usiamo quotidianamente». 

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Pubblicato il 23 Gennaio 2010
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