Il doppio errore di Giulio Ebagua

L'attaccante del Varese alla fine della partita ha rilasciato una dichiarazione in cui ha detto che lascerà la squadra perché è ambizioso

La prima volta che ho sentito parlare Giulio Ebagua nella sala stampa del Franco Ossola sono rimasto impressionato da due cose: dal suo italiano, corretto e forbito, e dalla sua sicurezza che rasenta la presunzione. Quando gli è stato chiesto quanto guadagnasse si è guardato bene dal dire la cifra esatta, ma sapendo di non poter evitare una seconda domanda ha risposto: «più di 70 mila euro». Se da quella conferenza stampa me ne ero andato con la sensazione che Ebagua fosse un calciatore intelligente, circa 6 mesi dopo mi sono dovuto ricredere. Alla vigilia della finale playoff con la Cremonese, forse, sarebbe stato meglio non dare l’annuncio del proprio addio alla squadra. Fermarsi a riflettere e confrontarsi con il proprio allenatore su cosa dire, sarebbe stata una prova di intelligenza e umiltà da parte del calciatore, che tra l’altro continua a parlare un italiano forbito.
Ebagua è stato uno degli artefici del miracolo del Varese guidato da Sannino. Con i suoi gol ha portato la squadra in finale. Ha talento e forza fisica, coraggio e personalità, ma nella partita con il Benevento ha commesso un’ingenuità clamorosa: la rissa con Landaida poteva essere evitata, bastava stare al proprio posto sulla trequarti, senza intromettersi in una questione su cui l’arbitro aveva già deciso con una punizione in favore del Varese. Risultato: espulsione e squalifica. E così Sannino dovrà fare a meno di lui contro la Cremonese.
Il capolavoro Ebagua, però, lo ha fatto in sala stampa, annunciando il suo addio al Varese a fine stagione, motivandolo con l’ambizione di salire di categoria, che tra l’altro è aspirazione normale e legittima per un calciatore di 24 anni al massimo della propria maturità fisica. Peccato che non era quello il momento per esternare, poteva aspettare la fine dei playoff. Che cosa cambiava? È normale che uno come Ebagua abbia gli occhi puntati addosso delle squadre di serie B e di A (si parla di Udinese, ma sono voci di corridoio non confermate), come del resto metà della squadra allenata da Sannino.
All’inizio della stagione, pensavo che ci fosse molta retorica nel modo di rappresentare questa squadra. Oggi non lo penso più: non è un’enfatizzazione dire che il valore del Varese 1910 è il collettivo. Una sorta di socialismo della pedata: ognuno mette i propri mezzi di produzione, testa, piedi, cuore e polmoni, a disposizione dei compagni: non ci sono capireparto, ma tanti lavoratori che condividono un obiettivo. Mai nessuno che alza la voce. Mai nessuno che dica «è colpa di quello e il merito è mio». Oneri e onori si dividono in parti uguali. Anche Ebagua, almeno fino alla partita con il Benevento, sembrava pensarla così. «Non sono qui per parlare della rissa in campo, ma della squadra» ha esordito il giocatore. I giornalisti hanno rispettato “l’embargo”, ma  subito dopo lui stesso ha dato l’annuncio dell’abbandono, rimettendo i riflettori su di sé e oscurando tutto il resto.
Ebagua non ha capito una cosa: se è riuscito a segnare quindici gol, deve dire grazie a una squadra che gira come un orologio, a due esterni, Zecchin e Carrozza, capaci di creare scompiglio in qualsiasi difesa, liberando spazi a non finire per lui e per chiunque ci si voglia infilare. I magnifici due contro il Benevento sono stati massacrati dai difensori, eppure non hanno fatto una piega, sapendo che qualsiasi reazione avrebbe giocato a sfavore della squadra. Per non parlare di centrocampo e difesa, due reparti che alternano qualità e quantità alla bisogna.
Se Ebagua potrà soddisfare le sue ambizioni (e glielo auguro di cuore) lo deve ai suoi compagni, perché senza palloni giocabili e con una difesa colabrodo lui, oggi, sarebbe uno dei tanti attaccanti (ambiziosi) alla ricerca di un posto in prima divisione per la stagione 2010-2011.

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Pubblicato il 31 Maggio 2010
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