La protesta dei ricercatori arriva anche a Varese
Giovedì 20 maggio è stata convocata un'assemblea generale per manifestare contro il disegno di legge Gelmini in discussione in questi giorni al Senato
L’università italiana è in subbuglio e la protesta contro la riforma degli atenei, questa volta, arriva anche a Varese. I ricercatori dell’Università dell’Insubria hanno convocato, giovedì 20 maggio alle 15.30 nell’aula magna di via Dunant, un’assemblea generale per manifestare il proprio "no" contro il disegno di legge Gelmini. Il testo, in discussione proprio in questi giorni al Senato (“Istruzione pubblica, beni culturali”), ha scatenato le reazioni e le proteste simboliche in tutte le università del paese per tutta la settimana dal 17 al 22 maggio, con varie iniziative. Alla mobilitazione parteciperanno i ricercatori ma anche docenti, precari, lettori e personale tecnico-amministrativo insieme con gli studenti. In concomitanza con tali iniziative la didattica verrà sospesa.
Il coordinamento dei ricercatori dell’Università dell’Insubria ha aderito alla settimana di mobilitazione nazionale e ha dichiarato, «di voler rinunciare per il prossimo anno accademico agli incarichi di insegnamento non obbligatori, nel caso in cui il disegno di legge non dovesse mutare nella sostanza».
Due le ragioni che alimentano la protesta: «il costo zero cui l’ennesima riforma dovrà corrispondere nella sua applicazione e la logica verticistica e aziendalista che la ispira. Secondo stime preventive, nel 2012 il taglio delle risorse delle università statali raggiungerà i 2000 milioni (due miliardi!!!) di euro, pari a circa il 35% del fondo di finanziamento ordinario (FFO) a partire dal 2002. Alla gestione del residuo fondo di finanziamento saranno chiamati a partecipare quasi esclusivamente i professori ordinari, mentre associati e ricercatori andranno incontro ad una decisa marginalizzazione».
Il progetto di riforma, proseguono i ricercatori: «Impedirebbe lo sviluppo della ricerca nelle università senza per questo promuovere la meritocrazia, non è infatti possibile supportare la ricerca né premiare i meritevoli a costo zero, ridurrebbe gli spazi di autonomia dei singoli atenei a favore di un centralismo amministrativo che rischia di sollevare le singole sedi dall’assunzione di responsabilità verso le scelte gestionali, renderebbe istituzionale il precariato dei giovani all’interno delle università, prevedendo un contratto a tempo determinato per i nuovi ricercatori senza fornire prospettive di reclutamento garantite, introdurrebbe forme distruttive di competizione tra ricercatori del ruolo ad esaurimento e nuovi ricercatori a tempo determinato, produrrebbe inevitabilmente un pesante aggravio delle tasse universitarie, a fronte di una probabile diminuzione di qualità dell’offerta formativa».
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