Alla scoperta del sud-est asiatico: arriverò mai ad Amarapura?

Quinta "tappa" del viaggio di Stefano Marcora in Birmania: un affollato tragitto in "bus"

Quinta "tappa" del "blogger di viaggio" bustocco Stefano Marcora alla scoperta della Birmania… su un improbabile, ma a modo suo efficiente, "autobus"

"Questo pick-up va ad Amarapura?"
"Si’, sali."
"Fermati sulla strada per l’U Bein’s bridge."
" OK."
In realta’ il "pick-up" e’ un camioncino adattato per il trasporto passeggeri. Sono le 9 e quaranta, ora non migliore per partire, ma questa mattina ho dormito fino a tardi causa il viaggio notturno proveniente dal lago Inle. Nonostante le nuvole discontinue il caldo di Mandalay si percepisce in tutta la sua naturale violenza.
Sul camioncino siamo in cinque: tre donne, un ragazzo ed io. Sotto gli stretti assi di legno laterali che fungono da sedili sono gia’ ammucchiati sacchi di yuta contenenti generi alimentari. "Bene", dico tra me, "una decina di minuti e partiamo."
L’ottantaquattresima strada e’ ancora all’apice della sua ordinaria confusione: camion e bus importati di seconda mano da Giappone e Corea riaggiustati, ristrutturati e ancora attaccati tra loro, urlano e sbuffano tonnellate di scura sostanza tossica. Autobus urbani con la carcassa interamente di legno senza vetri ai finestrini trasportano orde di passeggeri stanchi, quindi passano bici, camioncini, moto, taxi e poche auto private. Guardando questi vecchi mezzi a motore ho come l’impressione che i loro rantolanti apparati metallici scoppino da un momento all’altro, inondando ancora di piu’ un mondo gia’ inondato dalla supremazia umana.
Improvvisamente compare il driver del camioncino e i 3 (tre!) aiutanti si piazzano sulla piattaforma posteriore del mezzo. Buon segno. Partiamo nel concerto informe dei clacson nostri ed altrui verso il sud dell’84th. A volte sono un fervido credente nei miracoli: come e’ possibile che un camioncino veicolante 20-30 persone possa iniziare il viaggio con cinque passeggeri? Infatti all’incrocio successivo ci aspetta un’altra sosta di dieci minuti. Salgono persone (anche sul tetto) ma il driver non e’ contento. Le soste continuano allo stesso ritmo dopo ogni incrocio. Sono passati una quarantina di minuti e, nonostante gli sforzi congiunti dei tre addetti ‘esterni’ al mezzo, siamo pieni a meta’. Percorso effettuato: un chilometro abbondante. Ad una fermata la monaca che e’ seduta di fronte a me scende per acquistare dei biscotti. I passeggeri ingannano il tempo dormendo, sudando e comprando qualcosa dai venditori ambulanti che ronzano in continuazione attorno alle soste ‘tecniche’.
Osservo il cruscotto del camioncino. Indicatore di velocita’: non funziona. Lancetta temperatura acqua: nulla. Indicatore carburante: zero. In compenso il bottone del clacson e’ iper usurato. Al posto dello speccchietto retrovisore sono appesi rispettivamente una corona di gelsomini, un piccolo orsetto di pelo ed una effige del Buddha in plastica. Forse e’ l’aroma dolce del gelsomino che intorpidisce l’autista…
Giunti presso un grande tempio buddhista, il camioncino/bus parcheggia e i tre aiutanti gesticolanti di betel si dileguano al suo interno. Il motore si spegne. "E’ la fine", mi dico.
I minuti passano lentamente divorando una pazienza intorpidita. Quando i passeggeri iniziano a dare segnali di fastidio, i tre tornano quasi trascinando una signora. Un magrissimo raccolto.
Dopo il luogo di culto un’altra fermata veloce ma poi le cose cambiano: il mezzo pare abbia preso il volo e sia deciso a raggiungere Amarapura, quasi avesse varcato uno spazio invisibile e risolutorio. Con la velocita’ gli animi si placano, il sudore viene dileguato dal vento e la destinazione si avvicina. Dopo quindici minuti sono ad Amarapura. La mente fatica a crederlo.

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Pubblicato il 20 Settembre 2010
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