Uslenghi “torna” leghista. Senza aver smesso un giorno d’esserlo
L'ex sindaco e consigliere regionale "rientra" in ranghi che, assicura, con il cuore non aveva mai abbandonato. Con un'idea tenace in testa: che la Lega non si faccia mettere i piedi in testa dal PdL
Domenico Uslenghi, lui, "il" personaggio a Cassano è sempre lì, al centro della scena. Stavolta per una rentrée che chiude una parentesi strana: quella della sua estromissione dalle file dell’amata Lega Nord. Proprio lui, leghista e bossiano della primissima ora, tre anni fa era stato "silurato" su richiesta della sezione cassanese del suo partito. La sua colpa? Indisciplina: si era, addirittura, candidato alle elezioni con una sua lista, perdendo onorevolmente al ballottaggio contro il suo ex capogruppo, Morniroli.
Ora, dopo tre anni ricchi di eventi, Uslenghi torna ad un ovile che, sostiene, col cuore non aveva mai abbandonato. Il ritorno, attenzione, non è da tutti: la Lega è partito di militanza stretta e ortodossa, i reprobi raramente sono perdonati. È successo ad un Sartori, "ripescato" da Maroni e ora a capo di Inail; è successo a Domenico Uslenghi, cassanese, amico e seguace di vecchia data di Bossi.
«Mi ha buttato fuori Rizzi» ricorda tre anni dopo, con tutta la passione dei suoi settantatre anni: con il sindaco-senatore di Besozzo, allora segretario provinciale leghista, ha dei conti da regolare, e ancora il dente avvelenato.
ll curriculum leghista di Uslenghi parla da sè: già vicepresidente e membro del consiglio d’amministrazione de "La Padania", consigliere regionale dal 2008 a fine legislatura, sindaco di Cassano Magnago, nel periodo dell’elezione diretta, dal 1993 al 2002. E rivendica ancora tutto, con il suo coerente orgoglio di uomo di destra, e di partito. Così, quando rivanghiamo l’episodio in cui il sindaco Morniroli gli dava del Chavez, Uslenghi se la ride. «Mai stato comunista, nè socialista. Democristiano, solo quando l’alternativa era il PCI». Più o meno nel… Paleolitico inferiore, ormai, in termini politici. «Dopo la Lega, non sono andato in nessun altro partito, il fazzoletto verde, chiedete a tutti, l’ho sempre portato. Perfino in ospedale, nel taschino della vestaglia». Sissignori: nel giugno dello scorso anno, mentre si trovava in Regione, Uslenghi ebbe un infarto. Una successiva infezione cardiaca, ricorda, gli costò ben sette mesi di ricovero, e una convalescenza che non gli consentì di restare nei giochi per la Regione o di formalizzare prima il suo rientro fra i cavalieri dell’indipendenza padana. Curioso notare che fino al malore, Uslenghi in Regione, dove era subentrato (per il "caso Guarischi") un anno dopo la sua espulsione dal partito a Cassano, restava un leghista, quale era stato votato nel 2005… «Un caso anomalo il mio» riconosce. Davvero. Di più, un personaggio anomalo, un giramondo che ha visitato i quattro angoli della Terra, «inclusa la Cina quando vestivano tutti uguali in divisa», ma attaccatissimo alla sua città e al suo essere lombardo. Un leghista che aveva sposato in seconde nozze, dopo la vedovanza, una cubana (e ricorda ancora per averle viste di prima mano le miserie dell’isola sotto il regime castrista, che aborre); salvo poi riaccasarsi lo scorso 1° luglio con la terza consorte, la signora Egle, stavolta "padana".
Un’idea in testa l’ex sindaco ce l’ha, ed è sempre quella: mettere in chiaro le relazioni con l’alleato PdL. Perchè alleanza va bene, sudditanza no. «Io ero uscito perchè mi rendevo conto che comandava Forza Italia: e da leghista non ci stavo. Bisognava essere sullo stesso piano, la Lega non doveva subire. Vorrei ricordare ora che alle regionali 2010, sia pure di poco, abbiamo superato il PdL a Cassano. Con loro dovremo parlare, confrontarci. Differenze ci sono: abbiamo ideali e obiettivi che sono solo nostri, la Padania. Poi, un conto è la politica di Roma, un conto quella locale». Voglia di rivedere una Lega che va da sola alle prossime elezioni, magari? «Sarebbe bello, anche giusto, in un partito che cresce, che è amato dalla gente. Lo è anche perchè io non me ne stavo sotto i gazebo: andavo in giro, ci vado e ci andrò, a parlare con tutti. L’ultimo a farmi i complimenti e a ricordarmi come il miglior sindaco che ricordi è stato un cassanese di origini meridionali: e molti di loro mi hanno dato fiducia». E ora, di nuovo in sella al cavallo dell’Alberto da Giussano, spada in pugno, in quella sezione che tre anni fa gli dava per iscritto dell’arrogante megalomane. E ora gli riapre le porte, con l’ok del direttivo del Carroccio. In ogni caso, dice, «viva Bossi e viva la Lega!» Caso chiuso. O no?
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