I precari dell’Insubria: “La ricerca è come una soap opera”
La storia di Federico, ex dottorando dell'ateneo. Ricerche a puntate, pochi soldi e futuro incerto. Nell'aula magna di via Dunant una nuova assemblea dei ricercatori
«Mi chiamo Federico e sono un precario insubre al cento per cento. Ho fatto un dottorato di informatica, ho ottenuto degli assegni di ricerca che sono dei contratti a tempo determinato per fare, appunto, ricerca. Quest’anno non so ancora se avrò o meno un rinnovo. L’Insubria ha investito su di me dal 2005 e ora rischia di dover buttare via tutto. Insomma ho fatto tutto il percorso "di rito" passando da ogni tipo di precariato e adesso il mio futuro è un grosso punto di domanda. La mia borsa di dottorato era di 800 euro al mese. 800 euro per dedicarmi a un progetto di studio che mi impegnava a tempo pieno. Adesso? Dovrò magari fare tre anni, poi altri tre e poi o diventi professore associato o sei fuori». Quella di Federico è una storia comune a molte altre. In Italia ce ne sono centinaia. Sono le voci che hanno fatto sì che da Cagliari a Varese, passando per Napoli, Roma, Torino la protesta contro il disegno di legge del ministro Gelmini prendesse la forma di una grande e capillare rete di persone. A protestare «perché l’università italiana non venga rovesciata come un calzino» sono davvero in tanti. Anche a Varese dove, dopo soli due giorni dall’ultimo incontro, questo pomeriggio l’aula magna di via Dunant (con un collegamento in videoconferenza anche a Busto Arsizio e Como) è stata affollata da studenti, ricercatori e anche alcuni docenti dell’ateneo varesino.
Questa volta però le domande sul "funzionamento" di corsi e lezioni in questi giorni "caldi" hanno lasciato il posto alle storie dei protagonisti: «Il mio lavoro è talmente segnato dall’incertezza che non posso avere un orizzonte di lungo termine: devo fare ricerche a puntate, come una soap opera – continua Federico -. E non posso nemmeno dare possibilità di crescita a agli studenti che vogliono approfondire un argomento perché non so nemmeno se l’anno successivo il mio corso ci sarà. Molti di loro si sono stupiti quando gli ho detto che insegnavo a titolo gratuito, che lo facevo anche se non ero tenuto. Ecco questa è la situazione attuale dell’università italiana. Il disegno di legge, riesce perfino a peggiorarla: ci spinge a lasciare questo paese o a cambiare mestiere. Ma non siamo una "merce" che si rinconverte con molta facilità dopo anni passati a fare ricerca».
Ad aprire l’incontro di oggi è stato Marco Cosentino, professore associato che ha scelto di schierarsi nettamente dalla parte dei ricercatori e che ha invitato anche gli altri docenti a prendere posizione. Cosentino ha illustrato punto per punto tutte le ragioni della protesta alla quale hanno aderito, seppur in modo diverso, tutte le facoltà dell’Insubria. «I tagli alle risorse comprometteranno il funzionamento di tutti gli atenei compreso il nostro – ha commentato il professore -. Solo per citare un esempio: il nostro sistema bibliotecario dovrà ridurre le spese del 15 per cento, significa che metà delle riviste che servono alla ricerca e agli studenti sparirà dagli scaffali delle facoltà. La riforma Gelmini è stata presentata come la rivoluzione della meritocrazia e della lotta ai baroni. Ecco, è l’esatto opposto. Non fa che dare potere a chi già ce l’ha, come i rettori e alla politica con la nomina del Consiglio di amministrazione affidata all’esterno». In sala erano presenti anche i presidi di economia, Matteo Rocca e di medicina, Francesco Pasquali. «Non ci sono fondi e non si sciolgono i nodi critici del sistema – ha detto Rocca -. Più passa il tempo più mi chiedo quale sia il progetto del governo per l’università. È a questo punto dubito che ce ne sia uno».
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