L’assessore Fazio: “Quando mio zio fece condannare Liggio”

Sulla stele in ricordo dei magistrati uccisi da mafia e terrorismo anche Cesare Terranova, primo giudice ammazzato dalla mafia. L'assessore bustocco alla sicurezza ricorda la sua figura e i suoi anni in prima linea a Palermo

Cesare Terranova fu un precursore della grande stagione dell’antimafia ma non ebbe la possibilità di vedere all’opera Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ora sono tutti e tre sulla stessa stele in largo Giardino, a Busto Arsizio, davanti alla Procura della Repubblica. «Quando arrivava nei campi a trovare mia nonna – ricorda l’assessore Walter Fazio – si vedeva la carrozza arrivare da lontano e i contadini si toglievano il cappello chiamandolo eccellenza». Cesare Terranova era il fratello della nonna di Walter Fazio, oggi a capo dell’assessorato alla sicurezza del comune di Busto Arsizio e uomo di Stato con un’importante passato nelle forze di Polizia.  «Era un grande orgoglio per me – racconta ancora Fazio – quando si parlava di lui sui giornali. Riuscì a far condannare il superboss Luciano Liggio».

CHI ERA – Terranova (foto in alto) è stato a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo ma prima era già stato procuratore d’accusa al primo processo contro la mafia corleonese tenutosi nel 1969 a Bari. In quel caso, però, quasi tutti gli imputati furono assolti e la parola mafia era ancora un tabù. Fu, in seguito, procuratore della Repubblica a Marsala fino al 1973 dove si occupò del "mostro" Michele Vinci ma Cesare Terranova si distinse per aver processato e condannato all’ergastolo, nel 1974, la "Primula rossa" di Corleone, Luciano Liggio (assolto al processo di Bari). Fu deputato alla Camera, nella lista del PCI, come indipendente di sinistra, dal 1976 al 1979, e fu membro della Commissione parlamentare Antimafia. Dopo l’esperienza parlamentare, tornò in magistratura per essere nominato capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo.

«La mattina del 25 settembre 1979 decise di guidare lui la sua 131 e al suo fianco aveva il suo fidatissimo caposcorta Lenin Mancuso – racconta Walter Fazio (foto a destra) – ma finì in un’imboscata. Trovarono la strada chiusa per un cantiere ma era una trappola e i killer sbucarono da tutti i lati. Gli spararono il colpo di grazia alla nuca mentre lasciarono morente il povero Mancuso che morì poco dopo in ospedale. Quando seppi la notizia ricordo mia nonna che piangeva disperata, fu un colpo durissimo». Ricordi di 31 anni fa ma l’assessore Fazio, che inizialmente aveva preferito lettere a giusrisprudenza cambiò facoltà e dopo l’università entrò in Polizia nella quale fece una carriera di primo piano: «Nella mia carriera ho incontrato sulla mia strada anche altri grandi magistrati come Caselli e Vigna – ricorda Fazio che fu capo della sicurezza a Palermo durante il primo maxi-processo – a Palermo entravo nell’aula bunker al mattino e ne uscivo la sera. In quei sei mesi dormimmo tutti pochissimo». Erano gli anni delle prime condanne pesanti, delle bombe e della Palermo presidiata dai militari. Scene che non si cancellano dalla mente, come il corpo riverso nella 131 in quel lontano 1979, quello del primo giudice ucciso dalla mafia.

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Pubblicato il 22 Ottobre 2010
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