“Orgoglio comunista” a Busto Arsizio

La Federazione della Sinistra c'è: "distinti e autonomi, ma alleati con chi prepara l'alternativa a questo centrodestra. I comunisti servono, per il lavoro e i diritti". E celebra, bandiera con falce e martello alla mano, i 90 anni dal congresso di Livorno del 1921

Tra le forze minori che a Busto Arsizio si preparano a scendere in lizza per le elezioni una esibisce un simbolo che di questi tempi e in questi luoghi "suona" fuori posto: una falce e martello. È la Federazione della Sinistra, le cui principali compoenti sono Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani. Andrà al voto alleata con lo schieramento di centrosinistra, senza se e senza ma.
E proprio di comunismo parlano, in una città che non ha mai amato il concetto, i due alfieri-portavoce cittadini di FdS, Ada Salerno e Cosimo Cerardi. Con loro Stefano Rizzi per i Comunisti italiani, e i due militanti di lungo corso Rino Marchetti e Umberto Baruzzo. Distinti, e autonomi, ribadisce Cerardi, «perchè il paese ha bisogno della ricostituzione di una forza comunista, per i diritti del lavoro e per una società diversa», ma alleati, chiaramente e fortemente, «con chi pone la questione dell’alternativa a questo centrodestra», ossia, in primis il PD. «È solo a partire da un soggetto comunista che possiamo creare alleanze, lasciarci sciogliere in una baraonda dove non si capisce più niente sarebbe un errore. Sappiamo di essere pochi e deboli, ma questo non ci fermerà».
«Il fascismo non viene sempre con l’olio di ricino» osserva Salerno «oggi ne viviamo una forma diversa. È la visione di Licio Gelli e della P2. Da trent’anni la televisione ci martella, facendoci perdere di vista valori fondamentali. Sento un padre che in tv, al telegiornale, dice: "Mia figlia va col presidente del consiglio? Mi va anche bene" e mi chiedo: ma in che mondo siamo? Qua bisogna tornare all’etica del sacrificio, far capire che non si può avere tutto e subito, che si lotta, si lotta per la dignità, come a Mirafiori, prima che per quattro soldi in più in busta paga; e per la libertà di espressione, noi veniamo da trent’anni di vero maccartismo contro di noi. Non venderemo la bandiera per un pugno di lenticchie come altri; esporremo la falce e martello della Federazione della Sinistra».
Dichiarazioni d’orgoglio comunista, con tanto di citazioni da Berlinguer… e Mao. Due che vivevano in sistemi opposti, uno da oppositore illuminato, l’altro da tiranno deificato in vita, e se si fossero parlati di persona… meglio non immaginare l’esito.
Sì, perchè oggi si celebrava nella sede di via Magenta a Sacconago un anniversario: il novantesimo del primo partito comunista d’Italia, il PCd’I, nato, molto all’italiana enlla più genuina tradizione della sinistra, da una scissione interna al PSI, nel celebre congresso di Livorno all’inizio del 1921, quando Bordiga e compagni, intenzionati a seguire l’esempio dei compagni russi allora (e per un pezzo a venire) di gran moda, fondavano dunque il partito destinato ad avere un impatto storico straordinario, e unico fra i Paesi occidentali, sul "secolo breve" della sinistra italiana. Fino alla dissoluzione, al tracollo o alla "normalizzazione" dei tronconi mutilati di quel partito, di quell’anomalia italiana che tanta paura faceva nello scenario dell’"o di qua o di là" della Guerra Fredda. Anche Busto "c’era" negli anni Venti: se ne sa poco, e lo ammette lo stesso Cerardi, peraltro assai ferrato sulla storia del partito. «A Busto c’erano i comunisti già allora, ma era legata più che altro all’alto Milanese, a Legnano, dove le figure di rilievo erano i fratelli Venegoni, tra cui il martire della lotta di liberazione Mauro, orientati in senso trotskista» e mai completamente riaccettati nel settario PCI stalinista nonostante i meriti accumulati nella Resistenza. Un’influenza "legnanese" tale che, precisa Cerardi, i documenti relativi ai comunisti bustocchi d’allora si troveranno in genere negli archivi milanesi, non in quelli varesini, anche per gli anni successivi alla nascita della provincia di Varese, voluta proprio dal fascismo.
Altri tempi, si dirà, allora c’era l’onda lunga della rivoluzione bolscevica di Russia, oggi quella della caduta del Muro di Berlino: ma ai comunisti, che hanno per patria ideale il mondo intero, piace divagare per massimi sistemi, nel tempo e nello spazio, mentre la politica d’oggi impone il qui ed ora. «A quei tempi i comunisti non seppero trovare gli alleati per combattere il fascismo» rimedita Cerardi, pur salvando dal giudizio la figura di Gramsci, intellettuale apprezzato e rivalutato oggi più all’estero che in Italia. Gramsci che, ricorda Cerardi, venne a Busto Arsizio in un paio di occasioni negli anni Venti: nella prima di queste, tra fine ’24 e inizio ’25 presso gli spogliatoi del campo di via Valle Olona, dove allora giocava la prima gagliarda Pro Patria calcio (sospiro, ndr), si tenne alla presenza del futuro autore dei "Quaderni dal carcere" il primo congresso fondativo del partito comunista locale a Busto.
Fin qui la storia scritta. Davanti c’è la sua cancellazione definitiva, o un capitolo nuovo. «Dobbiamo rielaborare il modo d’essere comunisti» riconosce Cerardi. «Berlusconi potrà vantarsi d’aver eliminato i comunisti, ma non ha affatto rimosso le ragioni per cui il comunismo è sorto. E dobbiamo far capire ai lavoratori, che non sono soli». Possibilmente, non solo a quelli di Mirafiori, che dalle nostre nebbie appare lontanissima.

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Pubblicato il 19 Gennaio 2011
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