Il papà di Dylan Dog svela i segreti dell’Indagatore dell’Incubo

Da mercoledì nei cinema di tutta Italia il film di produzione americana tratto dal noto fumetto italiano, creato 25 anni fa da Tiziano Sclavi. Intervista allo scrittore che oggi vive immerso nel verde del Parco Pineta

Tiziano SclaviLa moda tutta americana di realizzare grandi film pieni di effetti speciali ispirandosi ai fumetti, ha colpito anche l’Italia. Non solo Spider-Man, X-Man o Iron Man. Infatti, da venerdì 16 marzo, nei cinema, ci sarà anche Dylan Dog, una super produzione hollywoodiana tratta dai fumetti con protagonista il personaggio creato da Tiziano Sclavi ben 25 anni fa. Le gesta dell’ironico investigatore dell’incubo, razionale tra l’irrazionale, sono quindi diventate un film ambientato a New Orleans al posto dell’originale Londra. Attore protagonsita l’ex Superman Brandan Routh e non Rupert Everett, ai cui lineamenti Sclavi si era ispirato per i tratti di Dylan Dog.
Sclavi, oggi, vive a Venegono Superiore, in una casa immersa nel verde del Parco Pineta. È una persona molto riservata, nonostante la ribalta internazionale che gli ha portato la sua creatura. I fumetti, che quest’anno raggiungeranno i 300 albi, sono arrivati a vendere anche un milione di copie a numero. Nonostante questo, Sclavi non esce quasi mai di casa. A Venegono l’unica sua uscita pubblica fu nel 2005, quando ci fu la cerimonia per la donazione, da parte sua, di 8mila libri alla biblioteca cittadina. Anche in quell’occasione fu di poche parole, visibilmente emozionato. Oggi, ha però accettato di rispondere a qualche domanda: non per dell’uscita del film (di cui Sclavi preferisce non parlare), ma per i 25 anni della “nascita” di Dylan Dog.

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Dylan Dog – Film 4 di 8

Tiziano Sclavi, per molti un mito, per altri una leggenda, ha la reputazione di essere restio alle interviste, come mai?
«Credo sia solo una questione di carattere, sono riservato per natura. Inoltre, per dirla con Petrolini, ho “orore” di me stesso».

Lei è di origini del pavese, come mai ha scelto di vivere a Venegono Superiore, cosa le piace?
«Tutto è cominciato una dozzina di anni fa. Mia moglie e io, che abitavamo a Milano, abbiamo deciso di prendere una casetta per le vacanze e abbiamo cominciato a cercare nella zona di Appiano Gentile. Un giorno siamo capitati in una località di Venegono, Pianbosco, immersa nel Parco Pineta, ed è stato amore a prima vista. Nei primi tempi ci venivamo solo per i fine settimana, ma poi, visto che tutti i lunedì ci piangeva il cuore a tornare in città, abbiamo deciso di stabilirci qui».

Dylan Dog, dopo anni di "gavetta" è il personaggio che le ha dato notorietà in tutto il mondo. Si aspettava un successo del genere quando uscirono i primi numeri?
«Certo che no, e neanche me lo auguravo. La speranza era di vendere almeno cinquantamila copie, per poter andare avanti e non chiudere (era un periodo di grande crisi del fumetto italiano). Siamo arrivati a vendere un milione di copie, e sono sbalordito ancora adesso».

Nella sua idea è nato prima Dylan o il suo assistente Groucho? Perchè scegliere il genere horror?
«Dylan è nato prima, e anzi nel primissimo progetto era un eroe solitario. Groucho è stato introdotto successivamente, per l’esigenza, quasi canonica nel fumetto, di avere una “spalla” per il protagonista, uno con cui Dylan potesse dialogare e condividere i progressi nelle varie indagini. E anche la comicità di Groucho in fondo nasceva da una necessità, quella di attenuare un po’ la tensione e sdrammatizzare un contenuto spesso “pesante”. Quanto alla molla che mi ha spinto a scegliere l’horror è stata la passione per il genere, una passione per cui non ho una spiegazione ma che ho fin da bambino, quando alle fiabe con principi e principesse preferivo quelle con paura e sangue».

Indagatore dell’incubo, paranormale, ironia, sarcasmo. Cosa sente più suo di Dylan Dog?

«Senz’altro l’ironia. Il sarcasmo è cattivo, e io spero di non essere mai cattivo. Quanto al paranormale mi affascina molto, ma esclusivamente come argomento di storie di fantasia. Nella realtà non ci credo, e anzi faccio parte del Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, che da oltre vent’anni combatte contro le fandonie soprannaturali».

Sta per uscire nei cinema un film, una produzione tutta americana tratta proprio da Dylan Dog. Lei cosa ne pensa? È stato coinvolto in qualche maniera?
«Mi spiace ma questo è un argomento di cui non voglio parlare».

Non è la prima volta che il cinema racconta una sua storia. Successe anche con DellaMorte DellAmore, che tra l’altro venne impersonato proprio da Rupert Everett, a cui lei si ispirò per Dylan Dog. Ma ribadiamo che non è un film di Dylan Dog. Quel film è diventato comunque un cult del cinema horror. L’ha visto? Le è piaciuto?
«L’ho visto molte volte e mi è piaciuto moltissimo, anche se forse non dovrei dirlo visto che è tratto da un mio romanzo. Ed è bene ripetere che non è un film di Dylan Dog, anche perché il libro è stato scritto parecchi anni prima».

Le sue storie sono piene di citazioni cinematografiche. Quali sono i suoi film, libri o anche fumetti preferiti?
«Il film è “2001 Odissea nello spazio” (e in generale tutti i film di Kubrick). Per i libri è difficile rispondere, l’elenco sarebbe sterminato. Comunque se dovessi scegliere un autore, oggi, direi John Grisham, un grandissimo maestro. Quanto ai fumetti confesso che ne leggo pochi. Più che altro rileggo sempre quelli: Tintin, Asterix, Blake e Mortimer, Jeff Hawke, Dick Tracy».

Qual è il suo rapporto con la scrittura? È difficile, naturale, come lo vive?
«Per fortuna scrivere mi è sempre venuto naturalissimo, più che parlare. Tranne ovviamente nei periodi di “blocco dello scrittore”, quando il foglio bianco che pretende di essere riempito diventa un incubo. Ma in generale, ripeto, scrivo molto facilmente, e già in forma definitiva, senza ulteriori correzioni».

In questi anni ha scritto diversi romanzi. Oggi si sente più fumettista, romanziere, o cantastorie? 
«Ho cominciato, in seconda media, scrivendo romanzi. Poi canzoni. Poi, molti anni dopo, sono diventato fumettaro (preferisco questo termine più popolaresco all’aristocratico fumettista). Infine ho sceneggiato per la tv e per il cinema. Direi che mi sento semplicemente scrittore: è una categoria che le comprende tutte».

Se dovessi chiederle i progetti per il futuro, come si fa spesso coi giovani artisti, lei oggi cosa direbbe? Cosa le piacerebbe?
«Mi piacerebbe scrivere ancora qualcosina, non so precisamente cosa. Ma devo ammettere che il mio principale progetto non ha niente di giovane: godermi la pensione».

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Pubblicato il 16 Marzo 2011
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