“La geotermia? Serve solo in case ben isolate”

Intervista a Daniel Pahud, direttore del centro di promozione della geotermia, leader europeo sull'argomento che fa parte dell'Istituto di Sostenibilità Applicata all'Ambiente Costruito di Supsi

Daniel PahudPer quella particolare forma di riscaldamento a risparmio energetico chiamata geotermia, che sfrutta l’equilibrio termico che si trova sottoterra, uno dei centri di studio più importanti d’Europa si trova a pochi passi da Varese. Si trova a Canobbio, alle porte di Lugano, dove ha sede il centro di promozione della geotermia di Supsi, il “politecnico” (la definizione è approssimativa, viste le differenze tra Italia e Svizzera in tema universitario) del Canton Ticino che ha al suo interno l’Isaac, Istituto di Sostenibilità Applicata all’Ambiente Costruito.
Alla guida del centro, che ormai ha circa dieci anni e collabora non solo con impiantisti in tutta la Svizzera ma anche di molti altri paesi europei come Belgio, Francia, Germania, Spagna e Italia
c’è il professor Daniel Pahud (nella foto). Ed è a lui che rivolgiamo alcune domande per approfondire l’argomento.

In Italia la geotermia per riscaldare – e rinfrescare – le case si sta affacciando adesso. Invece sembra che in Svizzera sia un sistema consolidato. Quanti anni ha  la geotermia nella Confederazione?

«Le prime istallazioni risalgono agli anni ’80. Si trattava, però, di progetti di ricerca molto marginali, realizzati da persone molto motivate: e così è stato fino agli anni ’90. Da allora però la crescita di questa forma di riscaldamento è stata molto forte e oggi è una proposta di successo. Gli impianti non riguardano più una piccola abitazione, ma anche edifici amministrativi e più grandi: ora ci sono impianti, insomma, non costituiti da una sola sonda ma da una pluralità di esse. Lo sviluppo, comunque, è iniziato con impianti a una sola sonda, per motivi comprensibili: cioè che un impianto ad una sola sonda è più semplice e, per una sonda ben dimensionata, si può estrarre il calore senza rischiare di esaurire l’energia geotermica presente nel terreno. Su grandi impianti la progettazione è più complicata e richiede più attenzione. L’effetto stoccaggio di calore diventa importante e bisogna anche avere un occhio sulla ricarica del terreno. Questa si abbina perfettamente bene ad un fabbisogno di raffreddamento estivo»



Quali sono i primi importanti casi (anche mondiali) di impianti geotermici, e a quando risalgono?

«Innanzitutto va chiarito un particolare: quando parliamo di geotermia, noi ci riferiamo agli impianti che utilizzano sonde e pompe di calore. Ma se facciamo un passo indietro, le applicazioni della geotermia sono diverse: per esempio, il paese italiano di Larderello utilizza il calore geotermico da più di un secolo, sfruttando il fenomeno naturale della risalita di acqua calda dalle profondità in superficie. In questo senso l’Italia è all’avanguardia per lo sfruttamento della geotermia. Più recente è il caso delle sonde. E in questa tecnica forse uno dei Paesi precursori è la Svezia, dove già negli anni 60 sono cominciate le prime esperienze. La geotermia ha avuto grande successo anche negli Stati Uniti dagli anni ’90, in particolare per la climatizzazione. La Svizzera, come le ho detto, ha visto il suo principale sviluppo negli anni 90, ma il più significativo esempio – e quello più grande – che io conosca, con più pali energetici (pali di fondazione usati come sonde) è quello dell’aeroporto di Zurigo: 300 pali a trenta metri profondità in un grande volume di terreno »

Ci sono particolari esempi in Canton Ticino?

«Rispetto al resto della Svizzera, in Ticino le sonde geotermiche sono arrivate un po’ più tardi. L’unico ben documentato è un impianto di una casa familiare con tre sonde, a Lugano. Ora anche in Ticino si stanno progettando impianti grandi. Varese è avanti, in questo senso: innanzitutto con l’impianto del complesso Giardini Sospesi, che è già in costruzione e conta 45 sonde. Mi risulta che anche un altro impianto di 40 sonde stia per essere messo in funzione. Senza contare tutti i piccoli impianti da una sonda, installati in case private»

Visto che l’ha studiata, trova adatta la città di Varese alla geotermia? Ci sono territori più o meno adatti a questa forma di riscaldamento?

«Non è un discorso che si può fare per una intera città: bisogna invece studiare caso per caso. E’ necessario valutare le difficoltà specifiche del terreno. In base alla geologia, infatti, può risultare più o meno complicato e costoso perforare. La preoccupazione delle autorità pubbliche è preservare la potabilità dell’acqua di falda, che ha precedenza sullo sfruttamento dell’energia. Chiaramente questo rappresenta una limitazione»

Quali sono i principali vantaggi della geotermia e quali sono invece le difficoltà riscontrate?


«Il vantaggio principale è che permette di avere un’alta efficienza energetica: il terreno ha temperatura costante che non dipende dalle stagioni. A dire il vero, si tratta di un vantaggio ma anche di uno svantaggio: perché questo è solo l’ultimo passo per raggiungere un risparmio energetico. Perché l’impianto funzioni efficacemente è importante innanzitutto che la casa sia coibentata e ben isolata: se non lo è non c’è risparmio. L’acqua delle sonde geotermiche è valorizzata dalle pompe di calore, ma la sua efficienza è scarsa se poi l’acqua va riscaldata a sessanta gradi per poter dare il calore necessario. Quindi, è importante che non ci siano dispersioni, in modo da dover scaldare l’acqua solo il minimo indispensabile. Del resto, il successo della geotermia è aumentato a partire dagli anni ’90, quando si è iniziato a costruire case maggiormente coibentate e isolate. Se si realizza un impianto geotermico per una casa già esistente, è importante valutare anche questo aspetto: se è coibentata a sufficienza»

Qual è il più comune errore in progettazione?
«La sottovalutazione dello sforzo di progettazione necessario. Troppo spesso l’errore più grande riguarda il dimensionamento: se non si calcola bene la lunghezza o la profondità della sonda, anche scegliendo prodotti ottimi, l’impianto non funzionerà in modo soddisfacente. Questa è una problematica che si sta iniziando a considerare, per questo ci capita sempre più spesso di dare consulenze esterne a privati».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Marzo 2011
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