“Dov’è finito il lato umano della Inda?”

Alessandro Isabella ha 39 anni, di cui la metà passati a lavorare alla Inda come impiegato. E’ uno di quelli che nei giorni scorsi è salito sul tetto della fabbrica per protestare. A due settimane dall’annuncio shock sulla chiusura dell’azienda, questo lavoratore si stupisce dell'atteggiamento della proprietà

Alessandro Isabella ha 39 anni, di cui la metà passati a lavorare alla Inda di Caravate. Nei giorni scorsi, insieme ad altri lavoratori, è salito sul tetto della fabbrica per protestare. A due settimane dall’annuncio shock sulla chiusura dell’azienda, questo lavoratore si stupisce dell’atteggiamento dei proprietari. «Lavoro qui da 17 anni – dice Alessandro – e non ho avuto il piacere di conoscere la signora Frattini. Tutti però me ne hanno sempre parlato benissimo, come di una donna attenta alle persone e agli aspetti umani. Mi chiedo però cosa sia successo nel frattempo, perché in questa situazione, dove si gocano le esistenze di intere famiglie, la proprietà ha mostrato il suo volto più duro».
Alessandro non ama i gesti eclatanti. Salire sul tetto della fabbrica però gli è sembrato l’unico modo possibile per affrontare una situazione che lui stesso definisce «drammatica» e dove l’imperativo è «salviamo il salvabile, anche se è poca cosa». 
«Io sui tetti – continua il lavoratore – ci salivo con mio padre che faceva il muratore. E ogni volta lui mi diceva: “se non vuoi fare questa fine, studia”. E io ho studiato, mi sono diplomato e per anni ho lavorato all’ufficio tecnico della Inda, come impiegato analista tempi e metodi. E adesso non posso contare nemmeno sulla solidarietà dei miei capi che, dopo anni di lavoro gomito a gomito, non mi dicono quale sarà il mio destino».
Alessandro è uno dei 32 trasferiti alla fabbrica di Pagazzano, in provincia di Bergamo. In teoria per lui non ci dovrebbero essere problemi, se si esclude il grande disagio del trasferimento in un’altra provincia e tutto quello che comporterà in termini di riorganizzazione della propria vita. «So già che una volta a Bergamo – conclude il lavoratore – ci diranno chi finirà in cassa integrazione e chi lavorerà. Francamente, tutto questo è umiliante».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Ottobre 2011
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