La Lega non è un rettangolo
Il congresso provinciale del Carroccio mette allo scoperto alcuni paradossi che fanno male a tanti militanti. Bossi è il lider maximo, ma se non ne fosse più capace? Una domanda che nessuno ha il coraggio di fare
La giornata di ieri sarà materia di studio per quanti seguono la storia della Lega. Il congresso provinciale di Varese è finito su tutte le prime pagine dei giornali.
In sostanza è successo quello a cui si è abituati da sempre: Bossi è intervenuto e ha deciso lui. Allora perché tanto subbuglio? La storia della base che vuole contare non regge. L’anima della Lega non la si può paragonare a un rettangolo, dove per scoprire l’area basta fare base per altezza e i giochi sono fatti. Nel Carroccio la militanza politica è sempre stata generosa, passionale, entusiasta, ma ha sempre accettato le decisione del “capo”. C’era il federalismo da raggiungere, in un modo o nell’altro, e tutto si poteva. A Bossi va riconosciuto un fiuto politico che lo fa entrare di diritto nell’olimpo degli dei della politica, ma ora qualcosa si è rotto.
Non è certo legato ai valori della democrazia che, almeno in casa propria, è sempre stato un vero optional tra i cultori dei fazzoletti verdi. Bossi ha sempre fatto e disfatto come meglio gli pareva. Basterebbe ricordare il congresso nazionale di Varese dove cacciò a pedate nel sedere quanti volevano un’alleanza con Formigoni, salvo il mese dopo farla lui. Per un soffio e ragioni mai chiare, non espulse Maroni dopo la crisi del 1994 quando il suo pupillo era in totale disaccordo con lui sullo scaricare Berlusconi, che all’epoca era il “mafioso di Arcore”. Come finì la storia lo sappiamo tutti e lo racconta il direttore della "Stampa", Mario Calabresi. Un accordo politico suggellato anche dalle firme di notai che garantiva per i debiti contratti dal Carroccio. Alla faccia delle ragioni politiche invocate dall’allora e attuale ministro dell’Interno. I comuni, al di là della crisi economica, contano meno e hanno meno risorse degli anni della forte lotta anti romana della prima Lega.
E allora oggi come mai in tanti si sbracciano e sbraitano? Come mai dirigenti e militanti ricorrono a Totò e a Ceausescu per descrivere i malumori profondi dei leghisti?
Ci sono due cose parzialmente nuove. Bossi, per diverse ragioni, non è più considerato autorevole e nessuno ha il coraggio di affermare che “il re è nudo”. Nessuno si assume la responsabilità di dire che il suo fiuto non funziona più e che il partito non è la sua famiglia.
L’altra è ancora più dura da mandare giù per tanti militanti che ci hanno creduto e che ci credono ancora. La Lega è davvero diventata il più vecchio partito della prima Repubblica, ma non per ragioni anagrafiche, ma per le peggiori abitudini.
La Lega, in un modo o nell’altro governa pezzi del Paese da quasi vent’anni. Ha tanti sindaci e amministratori, responsabilità dirette in due grandi regioni del Nord ed è nel governo della Lombardia e in quello nazionale. Tutte cariche che le arrivano dagli elettori. Ma i direttori generali delle Asl e delle aziende ospedaliere? I presidenti di tanti enti romani? I posti nei consigli di amministrazione? I posti per amici degli amici che poi diventano anche i pontificatori, dopo che hanno fatto carriera grazie alla Lega? Tutte le consulenze e i lavori fatti perché insieme con i doppiopetti si esibivano i fazzoletti verdi? E da ultimo le “cadreghe” nelle fondazioni e nelle banche? Cosa c’entra tutto questo con quell’antipolitica che tanto aveva contraddistinto i leghisti?
L’Italia, si sa, trova sempre qualche risposta. Una volta era di stampo ideologico. Dietro il bene supremo si doveva pur accettare qualche imperfezione e sacrificio. Oppure c’è sempre il “teniamo famiglia”, ma nella Lega questo non si sentiva dire. Al limite si premiavano i “soldati perché comunque avevano combattuto senza tradire”, un raro esempio fu l’ex sindaco di Varese Aldo Fumagalli, ma mai si sarebbe accettato di diventare come gli altri. E invece strada facendo sta finendo peggio, perché a forza di dar spazio al sentire della pancia, qualcuno ha pensato bene che ci si potesse ingrassare in quel modo.
Così la passione e l’entusiasmo vengono bistrattate e vince chi è più forte. E in casa Lega ha un solo nome: Umberto Bossi.
A meno che il re diventi davvero nudo e qualcuno inizi a dirlo.
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