La speranza ferita

A Roma, come a Genova dieci anni fa, è la violenza a prendersi le attenzioni. La protesta di centinaia di migliaia di cittadini passa in secondo piano rischiando di uccidere i sogni di intere generazioni

Ieri a Roma, insieme con tanti giovani, sfilavano intere famiglie con i passeggini. Cittadini che manifestavano a fianco degli "indignati" non solo per esprimere solidarietà a quanti vivono con disagio e con paura il momento attuale, ma per ribadire i veri bisogni del nostro Paese.
Un terzo dei giovani italiani non lavora e non studia. Lo si sente ripetere come un mantra di questi tempi, ma intanto nessuno dà una qualche risposta. La precarietà che spaventa non è solo quella del non trovare lavoro, ma quella per cui non c’è spazio per esprimere il disagio.
La manifestazione di Roma, che si è svolta in contemporanea con tante città italiane e nel mondo, voleva aprire gli occhi a tutti su questi temi.
E invece, ancora una volta, irrompe la violenza e manda tutto per aria. Qualcuno darà spiegazioni di quanto successo, ma intanto la mente non può non tornare indietro di dieci anni esatti. A quel luglio del 2001 quando a Genova per le strade e le piazze sfilavano centinaia di migliaia di persone. Cittadini indignati come oggi, suore, frati, sacerdoti, bambini, mamme e politici quasi nascosti, sicuramente in secondo piano. La città venne messa sotto sopra da alcune centinaia di teppisti e squadristi.
Quel movimento che chiedeva un mondo migliore, che apriva uno squarcio sui meccanismi delle ingiustizie fu messo in ginocchio. Prima malmenato come fossimo in Cile negli anni ’70 e poi annientato da un sistematico lavoro mediatico e politico. Con buona pace di chi governava e anche dell’opposizione. Oggi sono più chiare le responsabilità e guarda caso vengono condannati anche i vertici delle forze dell’ordine. Ministro dell’interno era un tale Claudio Scajola, quello delle dimissioni del 2002 per aver definito Marco Biagi, ucciso dalle Brigate rosse, un rompicoglioni. Lo stesso a cui è stata acquistata e pagata una casa al Colosseo senza saperne nulla. Altre dimissioni. Lo stesso che l’altro giorno ha tenuto il Governo in bilico facendo parlare di se tutta la stampa. 
Questi sono i personaggi della nostra politica. Quelli che condizionano le sorti di milioni di persone. Ma torniamo a Genova per capire cosa è successo dieci anni dopo. Allora quel movimento portava un attacco alla politica dei potenti della terra che non volevano vedere le profonde disuguaglianze e i rischi per il pianeta. Lo scontro era tutto politico, perché la politica sembrava ancora forte e si confrontava con i poteri forti.
Nelle sale operative dove si decidevano strategie di risposta ai manifestanti si aggirava, oltre a Scajola, un Gianfranco Fini che non aveva ancora rotto con Berlusconi. Quel Governo aveva la convinzione che avrebbe diretto il Paese per decenni, e non poteva tollerare un movimento antagonista prepolitico così forte e largo. La risposta fu violenta, quanto la violenza delle centinaia di squadristi dentro il corteo pacifico.
Lo scenario di Roma ha analogie, ma il movimento è profondamente diverso. C’è una frammentazione terribile del corpo sociale e non ci sono più luoghi e spazi dove riflettere e affrontare con serietà e continuità i temi veri che vivono le persone. La parola stessa "indignati" fa riflettere su come ancora una volta sia la prepolitica con le emozioni vere delle persone a irrompere sulla scena pubblica. Stavolta però il bersaglio non sono i politici, perché nemmeno la meritano quella indignazione. Sono le banche, i grandi gruppi della finanza, insomma i veri protagonisti e padroni dell’economia mondiale. Non ci sono più poteri forti che si confrontano. C’è solo la disperazione di ragazzi che non vedono più spazi di manovra per diventare protagonisti del loro futuro. Colpisce il fatto che l’ex governatore della Banca d’Italia Draghi dia ragione ai giovani che se la prendono con la finanza.
Non è la morte della speranza individuale, ma è l’esigenza di ribadire la necessità di guardare al futuro non solo nel privato, ma nella dimensione collettiva. Tutto questo oggi ha pochi interlocutori e per di più deboli. Se guardiamo simbolicamente alle manifestazioni ci accorgiamo che a Roma, come a Genova, non esisteva un servizio d’ordine perché nessuna organizzione strutturata ha accompagnato questi cortei. 
Quanto successo a Roma allora smaschera pericoli forti che non sono affatto quelli dell’ordine pubblico. A quelli che hanno messo a ferro e fuoco la città si deve dare una risposta ferma e basta. Per quelli che continuerebbero con quelle pratiche va inibita ogni azione. I pericoli veri sono però altri. Quelli di non credere più possibile uscire dai problemi. E’ la disperazione il dramma vero, perché quella è la culla dei violenti, e non la critica o l’opposizione a un sistema.
Ognuno di noi ha delle responsabilità grandi. La trasmissione di Fabio Fazio ha permesso di guardare alla realtà con occhi critici. Don Gallo che ha ricordato De Andrè che cantava "per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti"; e poi Gramellini, che giorni indietro aveva scritto un editoriale rivelatosi preveggente su quanto sarebbe successo.
La distanza della politica dal Paese si sta facendo davvero inquietante. Se non si recupera in fretta tra dieci anni forse non saremo qui a contare i danni di una manifestazione oltraggiata, perché non ne verranno più fatte. Allora si che avremo spento per chissà quanto tempo i sogni dei nostri giovani. E quando questo succede è un intero Paese a pagarne il conto. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Ottobre 2011
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